I classici ci aiutano a leggere il presente. Lo abbiamo già ripetuto tante volte. Eppure mi meraviglio sempre di questa grande qualità dei romanzi “immortali”. L’ultimo che mi è capitato sotto mano è Il complotto contro l’America di Philip Roth. Non parla certo di tamponi, mascherine e distanziamento sociale eppure è risultato essere a suo modo una lettura davvero utile per capire come inquadrare e affrontare il fenomeno dei negazionisti, di coloro cioè che negano l’esistenza di una pandemia pericolosa che sta letteralmente condizionando il nostro modo di vivere. Il romanzo di Roth ha già sedici anni, essendo uscito negli Stati Uniti nel 2004 (da noi è arrivato l’anno dopo grazie all’edizione Einaudi). Anche qui Roth intreccia una potenziale autobiografia con una controstoria dell’America. Un romanzo ucronico, verrebbe da dire, visto che Roth immagina che il piccolo Philip e suo fratello Sandy nella loro casa di Newark assistono all’ascesa politica di Charles Lindbergh. Il celebre pilota d’aereo che nel 1940 diventa inopinatamente presidente degli Stati Uniti al posto di Franklin Delano Rooslvelt. E ottiene la conquista della Casa Bianca perché concentra la sua campagna elettorale su un concetto fondamentale: l’America non deve mandare a morire i suoi ragazzi in Europa perché Hitler non è un nemico.  Questo romanzo intreccia molto bene il privato della vita della famiglia Roth, ebrei integrati nella comunità di Newark, con le sempre più marcate politiche antisemite dell’amministrazione americana. Discriminazioni che si intrecciano con un crescente odio e un altrettanto crescente pregiudizio in tutti gli strati della società americana, soprattutto quella rurale. Alla fine  quando ormai i progrom sono una probabilità tutt’altro che remota il vento della Storia cambia d”improvviso direzione. Non prima, però, di aver mostrato a quale cieca violenza può abbandonarsi anche il popolo più mite se cullato dai pregiudizi e blandito da quelle che oggi vengono chiamate fake news ma che sono sempre esistite sotto la voce “bugie macroscopiche” (fin dai tempi della diffusione dei fantomatici Protocolli dei Savi di Sion a inizio Novecento nella Russia zarista).

Con questo libro Roth non cede per una volta all’impulso di affidarsi al solito registro dell’autoironia. L’argomento ovviamente non si prestava. Però la ricostruzione del crescente odio nei confronti degli ebrei americani può trovare un analogo nella situazione che ci troviamo a vivere in queste settimane. I negazionisti della letalità del Covid non sono un problema. Al massimo un piccolo disturbo per l’ordine pubblico. Eppure la loro martellante propaganda, fatta di sciocchezze e banalità disarmanti, ha finito per condizionare parte dell’opinione pubblica e soprattutto a rendere ancor più teso il clima che si respira. E penso con orrore all’escalation degli ultimi giorni quando operatori sanitari, infermieri, e personale delle autoambulanze sono stati bersaglio di atti vandalici e di violenza verbale (e non solo verbale).  Episodi di cronaca davvero assurdi che si giustificano con un sempre maggior diffusione di notizie false e prive del più elementare fondamento logico.  Provocando in noi lo stesso stupore disarmato che provava il padre del piccolo Philip, un assicuratore che aveva creduto con forza nel sogno americano e nella bontà dei principi democratici, come noi crediamo e non smettiamo di farlo nello Stato di diritto e nella scienza.

Piccola postilla.

Il romanzo termina con l’entrata in guerra degli Stati Uniti a fianco dell’Inghilterra. Insomma la verità storica alla fine viene ripristinata. E Roth offre anche al lettore un apparato biografico autentico dei protagonisti e dei comprimari di quel periodo della storia americana. Fino a pubblicare lo stralcio di un comizio tenuto dallo stesso Lindbergh a Des Moines nel settembre del 1941, che riletto oggi verrebbe tacciato di palese antisemitismo.

 

 

Tag: , , , , , , , , ,