Pochi giorni fa, in un appassionato editoriale in prima pagina, il nostro Vittorio Macioce invocava una “maggioranza Mazzini” da contrapporre all’inflazionata (almeno nei discorsi dei cronisti politici) “maggioranza Ursula”. Intendeva contrapporre l’Europa del pragmatismo laico a una spiritualità tutt’altro che ultramondana. Voleva, in poche parole, ricordare che senza sogni, senza passioni e senza un’idea forte di futuro è inutile e vano pensare di gestire i soldi del Recovery plan in modo efficace. Serve a questo scopo un nuovo Mazzini, osserva Macioce. “Mazzini l’Italia l’ha sognata e immaginata – scrive – quando era un sogno impossibile nella testa di pochi. A questa impresa ha dedicato ogni attimo della sua vita. La vita di un visionario. Ne abbiamo bisogno. Mazzini è la Next Generation. È la Giovine Italia e la Giovine Europa. È diritti e ancora di più doveri. È azione e ancora di più spiritualità. È cristiano, rinnegando l’infallibilità politica del Papa. È rivoluzionario senza essere giacobino. È italiano e europeo. Ha visto l’impossibile e lo ha portato a terra”.
Quando mi sono imbattuto nell’articolo di Vittorio stavo rileggendo Le ultime lettere di Jacopo Ortis, libro sul quale ovviamente non c’è molto da aggiungere visto che non soltanto è un classico ma è un “nostro” classico, punto di riferimento essenziale nella formazione culturale, storica e letteraria delle numerose generazioni di studenti che si sono succedute fino a oggi. Mi ha colpito, però, la coincidenza della proposta di Macioce con il messaggio ancora sotteso nelle pagine di Foscolo. Sì, ci sarebbe davvero bisogno di un’idea rivoluzionaria. Ci sarebbe bisogno di passione civica ma anche di passione nazionale. Sarebbe bello vedere i ragazzi di oggi accalorarsi per un’ideale che sia qualcosa di più essenzialmente italiano. Non basta l’impegno, non bastano i temi ambientalisti e quelli sociali. Servirebbe un sogno che ci riunisca tutti in un comune destino. Servirebbe la passione politica e civile del giovane studente universitario Jacopo Ortis, ancora immune dalle storture e dalle trappole delle ideologie novecentesche.
Giusto invocare un nuovo Mazzini, senza dubbio. Servirebbero però tanti tanti novelli Jacopo Ortis. Accesi dalla fiamma della passione patriottica e della libertà. Con il trattato di Campoformio (l’artificio letterario immaginato da Foscolo parte dalla delusione politica per la caduta della Repubblica veneziana nel 1797) la delusione per il giovane Jacopo di vedere i suoi ideali repubblicani sviliti da un trattato internazionale fu cocente. Nel caso del personaggio foscoliano questa delusione portò al gesto estremo, visto però da tutta la critica come simbolo dell’atto più alto della libertà individuale.
Venezia, la resa, la passione politica, il sentimento patriottico, però, mi portano alla mente anche una di quelle poesie assai cantabili che ci insegnavano fin dalle scuole elementari per darci l’idea dell’epopea risorgimentale. Una poesia che oggi, causa Covid, acquista un’attualità davvero sinistra. Si tratta de L’ultima ora di Venezia di Arnadlo Fusinato (1817-1888) con i celebri versi “Il morbo infuria/ il pan ci manca/ sul ponte sventola/ bandiera bianca”, che racconta e descrive di un’altra triste pagina della storia veneziana (e dunque italiana): quella della Prima guerra di indipendenza.
Quella Venezia distrutta e assediata mi ricorda l’Italia di oggi assediata da una crisi economica senza pari, dove il pane (i ristori) mancano e dove il virus incalza senza tregua. Per vincere questa guerra serve un po’ lo spirito dei vari Fusinato, Mazzini e Foscolo. Servirebbe rinnovare e rinfocolare quei sogni e quelle passioni civili.

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