11091285_859655837411656_6656163855201373577_nDai tornanti dello Stelvio al mare di  Pescara, dalla  montagna sacra del ciclismo dove ha corso la Gran fondo Santini alla tappa italiana dell’ Ironman in terra abruzzese, anche se mezzo: “Perchè lo Stelvio non l’ho mai fatto e perchè a Pescara l’ho promesso ad un amico, anche se non sarò al massimo perchè ho un Ironman nelle gambe. E per recuperare una fatica così serve almeno un mese…>. C’è sempre la bici in mezzo e c’è sempre Ivan Risti, faccia conosciuta e vincente del triathlon azzurro. C’è la bici in mezzo ma non basta perchè da una vita il vicecapitano dell Dds (ma capitano adesso per l’assenza forzata di Daniel Fontana)  ci aggiunge nuoto e corsa. Per non farsi mancar nulla. Tanta fatica come succede ai triatleti che se non soffrono pare non si divertano. E adesso ancora di più “Perchè ormai gare sprint e gare olimpiche le faccio solo per allenarmi…”. Più o meno, viene da dire,  visto che solo un mese fa, era sul gradino più alto del podio a Piacenza.  E così, anche nel triathlon, succede un po’ quello che succede nel calcio quando i “bomber”,  dopo qualche anno di carriera, arretrano a centrocampo. Risti  dopo tanti sprint, dopo tanti olimpici e dopo tanti “mezzi” è arrivato alla distanza più lunga ed è una scelta senza ritorno: “Perchè un conto è dirlo e parlarne- spiega- un altro è farlo l’ Ironman. Perchè quando arrivi al traguardo capisci che è diverso. Ti rendi conto che è un’altra cosa…”. Sarà. Sarà che ragionare da professionista è sempre un’altra cosa. Sarà che nonostante tutto loro, i “pro” sono un mondo a parte. Sarà che un Ironman è una sfida per tutti ma per chi lo fa di mestiere forse un po’ di più. Ma sembra tanto un tunnel che ti porta verso il tuo destino di fatica. Tanta. Tantissima. “La prova è l’ultima gara che ho fatto a Florianopolis  in Brasile- spiega-  Al trentaduesimo chilometro è come se mi avessero sparato alle gambe. Mai provata una cosa così…Ho appoggiato le mani sulle ginocchia e sono rimasto lì.  Poi non so dove ma ho trovato la forza di arrivare in fondo. Ma è chiaro che la gara non c’era più…”. Capita. Capita che al secondo Ironman in carriera si debba pagare un conto più salato di quanto ci si aspetti. Ed è la solita storia del bicchiere mezzo pieno, anzichè vuoto. E’ forse un credito da metter via per poi farli tornare dopo i conti.  Esperienza, si dice. Così Risti, protagonista con i primi fino ad un terzo della maratona, finisce quindicesimo  in 8.49.43 lontano dal belga Marino Vanhoenacker, dall’’americano Timothy O’Donnell, dal canadese Brent McMahon. Lontano dai migliori insomma. Ma c’è tempo per prendere le misure con una gara così. C’è tempo per capire dove si può alzare l’asticella e da che parte si deve tirare quella coperta sempre troppo corta che è un po’ il dramma di tutti i triatleti perchè nuoto, bici e corsa non sempre vanno d’accordo. “Certo c’è tanto da fare- racconta Risti– Come dice Daniel l’Ironman è un romanzo e ogni gara fa storia a sè. A me affascina come concetto, per tutto quello che c’è dentro. Comunque lo sforzo è enorme e in tutto quel tempo non sai mai cosa ti può succedere. Puoi programmare, allenarti fino a 30 ore la settimana, curare dettagli, alimentazione ma una gara così non è mai un calcolo matematico”. Non è mai due più due perchè  3,9 chilometri di nuoto, 180 di bici e una maratona non sono mai solo un’addizione. Non c’è mai una certezza. Anzi no, forse una certezza c’è. “Credo di aver capito che l’unica certezza in un Ironman- spiega Risti– E che la crisi c’è sempre e che bisogna imparare a gestirla. Meglio o peggio, la differenza è tutta lì. In Brasile la prime difficoltà le ho avute dopo il 120 chilometro in bici perchè stavamo tenendo medie altissime, perchè c’era parecchio umido e perchè sono arrivati i crampi. Poi quella del trentaduesimo chilometro in maratona…”. In sette, otto ore di gara hai tempo di pensarci. Sei lì che l’aspetti. Fai tutto ciò che va fatto per tener lontane le streghe ma le streghe poi arrivano e il bello di questo sport è che devi essere capace di cacciarle via.  E ed è un bell’allenamento per tante altre cose, non solo nello sport. “Sì è così- racconta il capitano della Dds- Fai tutto ciò che si deve, perchè non ti presenti al via di una gara così se non fai tutto ciò che va fatto. E poi speri che vada tutto come ti sei immaginato. Che la bici non abbia problemi, che i gel che hai sciolto nelle borracce non ti diano fastidio, che non sia troppo caldo o troppo umido. Speri di trovare il tempo per mangiare senza pedere secondi preziosi dagli altri e magari speri di non trovare il vento contro che c’era in Brasile…”. Insomma anche da “pro” un po’ le dita le incroci. Come fanno tutti. Poi va come va. Ma il tempo per “studiare” c’è. E come quando finisce la scuola si ricomincia dopo le vacanze. “Corro a Pescara poi mi prendo un po’ di riposo- spiega Risti– Deciderò da dove ripartire. Magari subito ad agosto da Kalmar o Coopenaghen oppure a ottobre a Barcellona dove però i punti per le finali di Kona valgono già per il 2016…”. Kona, le Hawaii, la finale mondiale sono la fine e l’inizio di questa follia. Perchè tutto è cominciato lì. Ed è così per tutti, campioni e non. Gira e rigira tutto ruota intorno a lì.  Al sogno che però può diventare anche tormento. Ma ci si fa l’abitudine. E sono streghe da cacciare anche quelle…