Una bici bianca, una bici fantasma. Che ricordi una vita che non c’è più e che serva da monito per non dimenticare mai che in strada chi pedala, nonostante tutto, rischia la pelle. Una bici bianca per sperare che non succeda mai più. Da ieri in via Tito Livio in memoria di Luca Marengoni, il 14enne morto l’8 novembre scorso investito da un tram mentre andava a scuola in bici c’è un’altra «Ghost bike». Non la prima purtroppo. In città ce ne sono 22. Da quella di via Solari, dove undici anni fa fu travolto e ucciso Giacomo un bambino di 12 anni che stava tornando dall’oratorio, a quella di via Bartolini dove, ad agosto, ha finito i suoi giorni Mohamad, lui pure dodicenne, falciato da un pirata. È un «memoriale» quello delle bici bianche che ricorda, a chi troppo spesso se lo dimentica, che Milano è una città dove andare in bici è pericoloso a prescindere da luci, lucine, caschi e caschetti. Chiaro è che il problema non sono le bici o le ciclabili ma una mobilità schizofrenica e un diffuso senso di anarchia che vale per chi guida mezzi a motore ma anche per chi pedala. Da qualsiasi parte la si veda ci sono troppi che delle regole se ne infischiano. La mobilità di una città moderna non è un monolite inscalfibile difeso più per ideologia che per logica. È più la ricerca di un equilibrio. In una città moderna ci si muove con i mezzi pubblici, in auto, in moto, a piedi, in monopattino e in bici cercando un compromesso che tenga insieme tutto e rispetti chiunque si avventuri su una strada. A Milano ci sono strade che tra pavé e binari sono vere e proprie trappole; ci sono ciclabili che diventano sistematicamente aree di parcheggio o vie di fuga per scooter e motorini che vogliono saltare le code; ci sono limiti di velocità che quasi mai vengono rispettati, ci sono pochi o nulli controlli. Una miscela esplosiva che si aggiunge al fatto che in questa città ci si è tornati a muovere ancora tutti negli stessi momenti. Ad organizzare la pedalata che ha portato la ghost bike in via Tito Livio e a cui hanno partecipato anche i genitori di Luca, i suoi compagni di classe, i «prof» e i suoi amici sono stati i ciclisti milanesi: dalla critical mass a Massa Marmocchi, da Legambici a Fiab Milano Ciclobby, da Milano Bicycle Coalition Asd alla Ciclofficina Stecca.