Vinca il migliore a patto che non sia un Carneade qualunque… Domani si corre la Roubaix che , senza scomodare tanta (troppa) retorica,  è la Roubaix, una delle sfide ciclistiche più belle di sempre così come le altre monumento, così come i tapponi al Giro e al Tour, così come un mondiale, un’olimpiade…E allora vinca il migliore tra Tadej Pogacar, Wout Van Aert, Mathieu van Der Poel, Mads Pedersen il nostro Pippo Ganna. E gli altri? Agli altri va sicuramente un in bocca al lupo perchè chi arriva primo al Velodrome merita tutto il rispetto del mondo e mai ci arriva per caso. Ma vuoi mettere? Le grandi gare diventano indimenticabili se le vincono i grandi campioni, altrimenti tendono a perdersi nella memoria degli anni. Vale per tutte e a maggior ragione per la Roubaix. “Carneade, chi era costui?” s’interrogava nei Promessi sposi don Abbondio ignorando chi fosse il filosofo greco… La speranza e che ciò non accada domani quando toccherà salutare il vincitore della 122ma edizione

Le pietre contano. 25o, quasi 260 chilometri e 600metri di pietre e asfalto, da  Compiègne, a nord-nord-est di Parigi, al Velodromo di Roubaix. Una pietra dopo l’altra, infide, spesso bagnate, a schiena d’asino cioè più alte e sconnesse nel mezzo per scivolare sui lati e sparire ai bordi dove spesso si può pedalare ma non sempre, perchè tra pubblico e transenne lo spazio non c’è e il rischio di agganciarsi a qualcosa o qualcuno è troppo alto. Una pietra dopo l’altra, più lontane che vicine,  a volte con l’erba in mezzo che rende tutto ancora più complicato  che se sbagli a mettere una ruota e ci finisci in mezzo non ne esci più, la bici si imbizzarrisce, va dove vuole e non serve più neanche provare ad aggrapparsi alle leve dei freni, perchè le mani tremano, le braccia pure e ogni gesto, anche il più semplice come fermarsi, diventa inutile.

Chi l’ha fatta spiega che per restare in equilibrio, per non  impazzire, per non cadere bisogna avere il coraggio di andar forte, bisogna tirare sui pedali anzichè spingere perchè così la bici tende a sollevarsi come fosse un aliscafo e bisogna aver la fortuna di non bucare.  Parti, pedali, sconquassi mani e bici su alcuni tratti di pavè e speri di non cadere e di non bucare. Sei settori a quattro stelle di difficoltà, quattordici a tre stelle, cinque a due stelle e uno solo a una stella praticamente una passerella prima di entrare nel velodromo. Nomi  che ormai sono storia: la Foresta di Arenberg, Mons-en-Pévèle, il Carrefour de l’Arbre. Finito il settore di Champin en Pévèle, si gira a destra e dopo  una quindicina di  chilometri si arriva Roubaix. Fine del tormento e inizio della gloria.

Dentro, fuori o davanti nei primi cinquanta all’imbocco dell’Arenberg o addio sogni di gloria.  Va quasi sempre così e andrà così anche quest’anno. Guai a cadere qui. Tadej Pogacar nella Foresta ci è già passato due volte da juniores e in questi mesi ha provato e riprovato prima di decidere di partecipare che nel suo caso è un eufemismo perchè è ovvio che domani sarà qui per vincere. Wout van Aert, un paio di giorni fa in ricognizione con la squadra ha fatto venire i sudori freddi ai suoi ds per una sbandata che ha rischiato di farlo planare e toglierlo dai giochi ancor prima di cominciare. Ganna e Pedersen hanno provato e riprovato così come Mathieu Van der Poel  che però negli ultimi giorni, da queste parti non ci è visto perchè colpito da una sindrome influenzale che lo ha tenuto fermo: “Ora sta bene ma non benissimo” hanno fatto sapere dalla Alpecin.  Nella Foresta di Arenberg vengono tutti per capire che roba è anche se già lo sanno. E allora vengono per ricordare cosa sono queste pietre per mettersi bene in testa che qui non ci si può distrarre, che qui si magari non si vnce ma si perde, che qui forse è sempre meglio raccomandarsi l’anima al signore…

Comunque vada da Compiegne al Velodrome è un sfida ad eliminazione. Restano in pochi.  Resta chi ha un fisico “bestiale”,  meglio se potente, meglio se prestante, meglio se un po’ pesante e la storia di chi ha vinto da queste parti insegna.  Chiunque vinca diventa un uomo di Roubaix. Uno dei tanti ma unico. Speciale. Perchè quello degli eroi di Roubaix è il circolo più esclusivo del mondo. Un’enclave che va oltre il tempo. Basta una volta. Due sono tante, oltre diventa mito. E noi ci siamo là in mezzo. Inutile far nomi chi ama questo sport sa, conosce, ricorda.  Tutto ciò che della Roubaix si deve raccontare è stato già scritto. Chilometri di battaglie, di gioie immense, delusioni terribili. Di cadute, di dolore e di pianti. Tutto ciò che della Roubaix rimane è la sua storia scritta nella polvere o nel fango, sulle pietre che hanno creato il mito di una gara dove tutto sembra esagerato, epico forse anche un po’ retorico.

C’è un cartellone che fa bella mostra di sè su una parabolica del Velodrome dove sta scritto che “L’inferno del Nord ti porta in Paradiso” ed è così davvero, perchè basta andarci una volta nella  foresta di Arenberg, a Mons en Pevele, nel Carrefour de l’Arbre per capire cos’è davvero questa corsa che ha fermato il tempo. Passato e futuro. Il ciclismo ha questa capacità straordinaria di tenere insieme tutto, di mischiare ciò che è stato e che sarà, di lasciare sulla strada o sul cemento di un pista pezzi di storia a disposizione di tutti. Basta andare. Basta entrare e prenderseli, goderne. Così arrivi a Roubaix, ti avvicini al Velodrome, riconosci le strade, rivivi tutte le imprese che hai seguito in tv, poi svolti a destra e finisci dritto dritto nel mito di uno sport eterno. Qui, contrariamente a quanto succede da noi, non serve prenotare, non ci si deve iscrivere a nessuna società, a nessuna federazione, non si paga e non ci sono moduli da compilare, firmare, sottoscrivere. Si entra e basta, liberi. Infatti è e pieno di ragazzi che si divertono. Funziona così dalle parti degli “spocchiosi” cugini francesi.  Ma è solo invidia: hanno ragione loro…