Partenza e arrivo a Siena dopo 184 chilometri di asfalto e dopo 11 settori di sterrato tra lo splendore delle delle crete senesi e la meraviglia di un arrivo in piazza del Campo. Domani diciassettesima edizione delle Strade Bianche, ormai quasi monumento, ormai quasi storia, ormai classica del Nord più sud d’Europa.  Si parte con qualche assenza importante ma al via c’è una lista di pretendenti di tutto rispetto a cominciare da chi qui ha già trionfato come Mathieu Van der Poel (2021), Julian Alaphilippe (2019), Tiesj Benoot (2018), Zdenek Stybar (2015) e Michal Kwiatkowski (2014, 2017). Con un eventuale tris il campione del Mondo di Ponferrada 2014 raggiungerebbe Fabian Cancellara garantendosi l’assegnazione di un tratto di sterrato. Tra gli altri nomi eccellenti ci sono Thomas Pidcock, Matej Mohoric, Peter Sagan, Alberto Bettiol e Tim Wellens. Non è un terno al Lotto, fortuna e sfortuna valgono per tutti: vincerà il più forte. Vincerà chi sarà più in palla o, come piace raccontare con la giusta retorica che accompagna il grande ciclismo, saprà cogliere l’attimo. Carpe diem per entrare nella storia breve ma intensa di una sfida che affascina non solo i professionisti. Domenica infatti si replica e saranno gli amatori a sollevare nuvole di  polvere.  6.500 gli iscritti  che sono un “record” così come un record sono le presenze straniere da Inghilterra, Paesi Bassi, Francia e Germania. Un percorso da 138 chilometri, con 1900 metri di dislivello e 42 chilometri di sterrato dove a fare la differenza non è  non è l’ultimo muro, tremendo, di Santa Caterina al 18 per cento prima di arrivare in piazza del Campo.   La differenza della Strade Bianche è che è una corsa che riavvolge il nastro di un ciclismo che forse negli ultimi anni è andato troppo veloce e nel cammino ha perso  un po’ della sua storia. Troppa fretta, troppa tecnologia, troppe gare, troppi interessi, troppe moto, troppo di tutto a confondere mito e leggenda con tappe inutili e ordini di arrivi non sempre all’altezza. Alle Strade Bianche non succede o succede meno.  Una sfida che porta a riscoprire l’anima e la meccanica del ciclismo che si alza sui pedali con la forza che serve per saltare via brecciole, buche e cunette che ti si parano davanti su salite che non ti aspetti. Con le ruote che slittano, s’infangano, si fermano sugli strappi più duri, con le incognite di un guasto o di una foratura che sfuggono a tattiche e algoritmi.  Ciò che fa la differenza è che la storia qui è tornata recente e ha riportato il ciclismo più vicino alla  sua origine.