Un secondo. Non è nulla un secondo ma si vincono le gare per un secondo, le tappe, i Giri. Un secondo, due, diciassette: pochi quando ti aspetti distacchi di minuti. Pochi quando c’è ancora tanta strada da fare, quando all’orizzonte si intravedono le montagne. Da Savignano del Rubicone a Cesena fanno 35 chilometri giusti giusti nel bel mezzo di una Romagna che sa di Lambrusco e mazurka, che si affolla sulle strade nonostante la pioggia, che sa bene cos’è il ciclismo e sa come rendergli omaggio. Vince Remco Evenepoel che è il secondo belga della storia a imporsi in due crono nello stesso Giro: l’altro era stato Eddie Merckx, tanto per intendersi. Poi Geraint Thomas, poi Tao Geoghegan Hart. Poi anche Primoz Roglic e Damiano Caruso. Niente sfracelli, sono tutti lì. Tutti insieme appassionatamente in una manciata di secondi da giocarsi quando la strada salirà. Perchè allora si faranno i conti . Così si dice, così si pensa perchè in tanti credono ancora che le cronometro non siano vero ciclismo. Invece è vero il contrario. Le crono sono l’apoteosi del ciclismo. Niente gruppo. I corridori sfilano uno ad uno. Li vedi da soli, non perdi neppure un attimo per capire,  per cercare di riconoscerli. Osservi le mani, le gambe, controlli se muovono le spalle, se pedalano agili o un po’ imballati, che rapporti spingono, quanto veloce vanno che sembrano volare, eleganti e silenziosi.  Non tutti, ma quasi tutti. Novant’anni fa la prima volta fu proprio qui al Giro e proprio qui in Romagna, da Bologna a Ferrara quando vinse Alfredo Binda davanti al belga Jef Demuysere e ad  Ambrogio Morelli detto “l’imbattibile”, ma non in quella tredicesima tappa. Una rivoluzione. E  bagnammo il naso ai francesi che la prima crono al Tour la inserirono un anno dopo, il 27 luglio 1934,  nonostante le insistenze di  Gaston Benac, giornalista sportivo di Paris Soir, che tormentava da tempo con quell’idea l’organizzatore di allora Henry Desgrange. Che però prese tempo. Troppo. Tant’è che quando vide la prima cronometro corsa al Giro s’infuriò come un bufalo e licenziò buona parte dei suoi collaboratori, forse anche perchè aveva una coda di paglia lunga un paio di chilometri. Poi loro, come sempre, ci misero quel tocco di spocchia in più, perchè  chiamarla “crono” era poco chic, e così nacque la sfida “contre la montre”…Vuoi mettere?  Storia. Che poi ha fatto il suo corso con sfide e vinte e perse anche proprio per le crono. Due su tutti: il Giro sfilato da Francesco Moser a Laurent Fignon nel 1984 da Soave a Verona, nell’ultima tappa e il Tour vinto cinque anni dopo da Greg Lemond con le prime protesi da triathlon sul manubrio sempre ai danni del “professore”. Sfida fantastica quella contro il tempo: difficile, perfida, complicata.  Te li godi i ciclisti.  Stile, compostezza, potenza. Scopri l’anima. Perchè c’è poco da inventare. Non ci sono scie o strategie. Non c’è tattica, nè squadra. Tutti contro tutti ma soprattutto contro se stessi. Perchè distrarsi è un attimo e mollare pure. E invece bisogna restare concentrati sullo sforzo massimo, capire fino a che punto si può continuare ad osare, fino a che punto ci si dovrà sfinire.  Vince Remco per un secondo su Geraint e due su Tao. Trentacinque chilometri in 41minuti e 24 secondi, spingendo un 64 monocorona, alla media 50,705. Non è semplice, quasi una missione impossibile. Bisogna spingere, stare corretti in sella, non scomporsi, non sbagliare traiettorie, pedalare il più rotondo che si può, riuscire a respirare anche se i polmoni sono compressi perchè si sta con la pancia parallela alla canna. E basta guardarli in faccia.  Tutti con lo stesso sguardo perso nel vuoto, inespressivi, quasi assenti. E invece no. Quando si fa una crono si pensa  solo a quello. E’ un rovello. La moto davanti che indica dove andare, la riga bianca della mezzeria,  i marciapiedi, le transenne. Pensi che stai andando forte, piano, che stai perdendo, guadagnando, che può bastare o che non basterà…L’avversario c’è ma non c’è. Ed è peggio, è più insidioso. Perchè su una salita lo vedi, lo segui se ce la fai lo stacchi oppure provi ad incollarti alla sua ruota  fissando lo sguardo sulle ganasce dei suoi freni, sul mozzo senza pensare a nulla. A cronometro puoi solo inseguire i pensieri. In qualche caso i sogni. Anche se durano solo un secondo.