Tadej Pogacar lo scorta fin sul traguardo Marc Soler che alla fine gli tende una mano, lo abbraccia e lo accompagna verso l’ammiraglia della Uae quasi a proteggerlo. Nessun capitano, nessun gregario. Come un fratello maggiore che non vede l’ora di porre fine al tormento di un ragazzino che all’improvviso ritrova sul viso smarrito tutti  i pochi anni che ha. Era finito ieri il Tour. Chiuso con una crono in salita corsa come se non ci fosse salita. E oggi sul Col de la Loze Jonas Vingegaard ha finito il lavoro che lo porterà tra pochi giorni in giallo per la seconda volta a Parigi. Senza troppa pietà, come un pugile che vede il suo avversario in difficoltà sul ring e lo stende con un uno-due che non gli lascia scampo. E’ la legge dello sport. Che non fa sconti, che si scrive all’improvviso anche con un gesto, come quello di abbassare una zip e slacciarsi una maglietta. Un segno di resa e infatti il danese non ha neppure bisogno di attaccare, ci pensano gli altri ad alzare i giri. Lui si volta, guarda giù da un tornante, capisce e se ne va. Fine.  Strano sport il ciclismo che non conosce mezze misure e alla fine ti porta sempre a fare il tifo per chi perde più che per chi vince. E oggi più di ieri ha perso Tadej, la sconfitta più dura, una di quelle che lasciano qualche cicatrice anche nell’anima, che si curano solo quando (e chissà quando) si avrà l’opportunità di pareggiare i conti, ma non sarà domani, non sarà presto.  Lo stesso destino che tre anni fa era toccato a Primoz Roglic a La Planches des Belles Filles. Dovrà passare il tempo, dovranno scorrere i chilometri, dovranno tornare ad incrociarsi le strade. Passato, futuro e presente che si intrecciano, tenuti insieme da un filo di sottile malinconia che accompagna sempre le grandi imprese, che impedisce di godersele appieno. Nello sport, negli altri sport in genere, la linea del tifo è più netta, non si fa troppa fatica a schierarsi, a prendere le parti di una squadra, di un campione, ad amare e (sportivamente) ad odiare a decidere chi sta simpatico e chi no.  Nella “parabola” ciclistica invece, più che altrove, gli ultimi sono sempre un po’ anche primi. E la faccia smarrita di Pogacar, il suo volto nascosto tra le braccia appoggiate sul manubrio, probabilmente le sue lacrime tolgono un po’ di gioia alle imprese di un Jonas Vingegaard monumentale, all’epica di un duello fantastico che nei sogni di molti sarebbe stato bello vedere finire in pareggio. Il bis del danese è un sigillo di classe e di potenza, di calcolo forse, ma soprattutto di concentrazione e tenacia. Impossibile non applaudire, impossibile non restare affascinati da questo fuoriclasse che prima di pedalare giocava a badminton ma che ormai è una delle stelle assolute del ciclismo mondiale.  Onore al vincitore. Onore a Jonas che ha fatto ciò che forse ci si aspettava ma non si immaginava. Onore al re del Tour. Ma Tadej conquista il cuore…