Poco tempo fa Franco Balmamion è finito in una bella guida ciclistica del Piemonte che mette insieme 28 tappe sulle strade delle Alpi Occidentali  tra città e paesi che il ciclismo ha consacrato alla storia. Quasi 200 pagine che raccontano e ripercorrono le tappe di montagna di Giro e il Tour  affrontate da campioni come Fausto Coppi, Costante Girardengo, Marco Pantani.  Balmamion  era tra loro e a buon diritto visto che, anche su quelle strade, vinse per ben due volte consecutive il Giro nel 1962 e nel 1963 restando per alcune settimane in maglia rosa anche senza vincere una tappa. Furono i cosiddetti “Giri Balmamion” ma non è mai stato un cruccio. Il ciclismo allora era un’altra cosa. C’era poca tattica, c’erano grandi fughe, c’era meno gioco di squadra e le tappe erano quasi sempre lunghe più di 200 chilometri. Lui era un fantastico regolarista e per ciò si mise dietro la concorrenza che non era poi così poco scarsa visto che si ritrovò a fare i conti gente come Pambianco, Baldini, Nencini, Motta, Gimondi, Adorni, Merckx ma soprattutto con quel francese che rispondeva al nome di Jacques Anquetil, uno dei pochi ad aver vinto in carriera il Tour (cinque volte) il Giro ( due) e la Vuelta e che fu il campione che Balmamion ammirò di più.  “L’Aquila del Canavese”, così era stato soprannominato, corse e vinse in quegli anni lì, quindi onore al merito. Onori che pochi giorni fa a Trentom, durante il Festival dello Sport organizzato dalla gazzetta dello Sport, gli sono stati tributati dal direttore del Giro Mauro vegni, cje lo ha premiato insieme con Giuseppe Saronni con cui è entrato a far parte della «Hall of Fame» del Giro d’Italia ricevendo il Trofeo Senza Fine, destinato ai vincitori della Corsa Rosa. Non è la prima volta che Balmamion viene premiato, anni fa fu il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ad insignirlo del titolo di cavaliere della Repubblica per meriti sportivi. Ma i premi fanno sempre piacere, soprattutto a una certa età quando i ricordi contano e un po’ aiutano a vivere: «E’ un enorme piacere per me ricevere questo riconoscimento – ha spiegato il grande campione  di Nole – Sono sempre stato un regolarista, a posteriori mi dispiace non essere riuscito a vincere tappe anche se mi sono spesso confrontato con rivali più veloci di me. Era un altro ciclismo, all’epoca curavo soprattutto la classifica. C’erano tantissimi campioni ma quello che ho ammirato di più è stato Anquetil che un giorno è anche  venuto a casa mia a farsi la doccia dopo una corsa. Mi hanno definito riflessivo, coscienzioso e altruista. Io mi sono sempre comportato come mi hanno insegnato e sono contento di quello che ho fatto nella mia vita…». Balmamion è stato un campione precoce e , dopo aver lavorato in fabbrica già da 14 anni e poi alla Fiat,  cominciò a pedalare sul serio nella Martinetto di Ciriè e poi nel Gruppo sportivo della Fiat. Vinse il Giro d’Italia già al secondo anno di carriera e l’anno dopo fu anche capace di ripetersi.  Forte sia in salita e a cronometro  non aveva uno spunto veloce e per questo nelle sue dodici partecipazioni alla Corsa Rosa non riuscì mai a conquistare una  tappa pur piazzandosi nuovamente sul podio finale nel 1967, quando chiuse alle spalle di Felice Gimondi. Da professionista  indossò le maglie di Bianchi, Carpano, Cynar, Sanson, Molteni, Salvarani, tutte formazioni di vertice ma quella rosa è quella che di più gli è rimasta nel cuore.  E c’è un motivo: “Io sono sempre stato un grande tifoso granata- ha raccontato sul palco del Festival di Trento- E i due giri li ho vinti  perchè in quegli anni la maglia della mia squadra era a righe bianconere. C’era un solo modo per togliermela di dosso: andarmi a prendere quella rosa…”