Ambiente, la lezione del plogging a chi blocca le strade
C’è chi per difendere l’ambiente blocca strade e imbratta monumenti, c’è chi invece corre e raccoglie montagne di rifiuti. Bene o male ognuno fa ciò che gli riesce. Ad Erik Ahlström, svedese, atleta di e poi allenatore di skyrunner e scopritore di Emelie Forsberg, una delle più forti ultramaratonete in circolazione, la salute del pianeta sta a cuore allo stesso modo (se non di più) dei ragazzi di Ultima Generazione, ma l’idea di bloccare una strada, una finale d’atletica, una tappa del Tour non gli è mai passata per la mente. Anzi. Sette anni fa, dopo essersi trasferito da Are, un paesino di montagna nel nord della Svezia, nella grande Stoccolma rimase colpito dalla spazzatura a bordo strada che trovava quando usciva ad allenarsi. E un giorno, con un gruppo di amici, iniziò a raccoglierla: «La sensazione era che stesse accadendo qualcosa che andava anche oltre l’attività fisica – raccontò allora ad una tv svedese -. Le persone correvano, si divertivano e amavano il senso di appagamento che derivava dal fare sport ma anche qualcos’altro di buono…». Fu un’intuizione che metteva insieme la forza della corsa e la voglia di darsi da fare in concreto per l’ambiente: ma sul serio. Un’idea semplice e rivoluzionaria sintetizzata in due parole: «plocka upp» (raccogliere) e «jogging» (correre). Così nacque il «plogging» un po’ sport, un po’ esercizio di coscienza civica, molto pratica ambientale virtuosa e concreta che vale più di tante chiacchiere. Si corre con il classico abbigliamento da running ma in più con i guanti e con un sacco della spazzatura. Si corre, si raccolgono rifiuti e vince chi va più forte e ne raccoglie di più e di maggior qualità. È la nuova frontiera dello sport pulito che, poche settimane fa, il ministro italiano dello Sport Andrea Abodi ha annunciato che inserirà nei prossimi Giochi della Gioventù. Il movimento prende rapidamente piede in Svezia, raggiunge altri Paesi in Europa fino all’India, agli Stati Uniti e al Sudamerica. La parola «Plogga» viene inserita nel dizionario inglese: «Ovviamente non è solo running e raccolta di rifiuti – spiega Ahlstrom – è la creazione del riflesso, quando vediamo un rifiuto, di raccoglierlo e smaltirlo correttamente. Che si stia camminando, pedalando, facendo kayak o skateboard, Plogga desidera insegnare due cose: la prima è non inquinare e la seconda è raccogliere i rifiuti quando se ne vedono in giro». E anche se il plogging è fondamentalmente uno sport che ruota intorno alla socializzazione e alla condivisione di una filosofia ambientalista, molti hanno cominciato negli ultimi anni a prenderlo in modo competitivo. E quale occasione migliore di un campionato del mondo per promuoverlo? Un paio di settimane fa a Genova è andata in scena la terza edizione iridata. Una vera e propria gara che ha visto al via oltre 80 atleti e atlete da 16 Paesi che si sono sfidati all’interno del Parco delle Mura, correndo e ripulendo un angolo suggestivo di montagna a poche centinaia di metri dal mare. A vincere il titolo sono stati lo spagnolo Manuel Jesús Ortega García, tra gli uomini, e Elena Canuto, già campionessa Mondiale della prima edizione, tra le donne. Il mondiale si è chiuso con un nuovo record che ha portato ad una raccolta di circa 3.000 kg di rifiuti abbandonati, di cui oltre 2.000 kg, ovvero il 71% del totale, già avviati al riciclo: un bel «bottino di rumenta». Un impatto sociale e ambientale notevole che si è concretizzato nei quasi 6 milioni di grammi di CO2 non emessi in atmosfera una quantità di emissioni pari a quella prodotta da 60.000 km percorsi da un’auto o da 50 voli aerei tra Milano e Roma. E tutto ciò senza rompere l’anima a nessuno…