La maratona di Boston è sempre una storia da raccontare . Due giorni fa a vincere è stato  John Korir che è arrivato al traguardo in 2 ore 04’45″  che è il fratello di quel Wesley Korir che a Boston si impose nel 2012 ed ora è un politico del suo Paese. Il keniano dominato una delle maratone più dure in circolazione che è stata però anche la più veloce di sempre con ben cinque atleti sotto il muro delle 2 ore 06’ e nove sotto le 2 ore 08’.  Il tanzaniano Alphonce Felix Simbu, bronzo mondiale nel 2017, si è piazzato al secondo posto, terzo l’altro keniano Cybrian Kotut. Tra le donne ha vinto la keniana Sharon Lokedi in 2 ore 17’22″, precedendo di 19 secondi la connazionale Hellen Obiri, che a Bostonn aveva trionfato l’anno scorso. Al terzo posto l’etiope Yalemserf Yehualaw.

E la cronaca può finire qui perchè la maratona di Boston va al di la della cronaca, di chi la corre, di chi la vince, di campioni, storie, assenti e presenti. Boston è Boston, la vera maratona americana, quella che conta. Più di New York, considerata commerciale, da “parvenu” della fatica, da turisti. Boston è Boston da sempre, da 129 anni sempre  il terzo lunedì’  di aprile durante  il Patriot’s day la festa che in Massachusetts celebra l’inizio della rivoluzione.  Boston che si è sempre corsa, senza mai un’interruzione neanche durante guerre e terremoti. Boston è il fiore all’occhiello degli americani, il punto d’orgoglio, la loro storia sportiva, il simbolo che conservano. Boston è la maratona più dura del mondo con quella sua collina spaccacuore a dieci chilometri dall’arrivo; la più iconica con l’arrivo  a Boylston Street e la sua finish line in vinile che viene incollata a terra ogni anno (sempre la stessa) e poi lascia posto ad una striscia bianca disegnata il giorno dopo che rimane lì per tutto l’anno.  Tutto ciò che accade a Boston è sempre un po’ più stroria che altrove. E’è la maratona  più longeva del mondo, inserita tra le sei Abbott World Marathon Majors, Tokyo, Londra, Berlino, Chicago e New York City. Boston sono decine di migliaia di  atleti al via che arrivano da tutto il mondo. Boston sono i sogni in un cassetto che magari si avverano quando meno te li aspetti.

Boston è una ferita fa fatica a cicatrizzarsi nonostante gli anni, nonostante la voglia di guardare oltre, con la paura che però proprio in questi tempi fa fatica an andarsene. Una ferita riaperta dopo  le torri gemelle anche se poi si è capito che non era la stessa cosa con quelle bombe artigianali sul traguardo che ne 2013 uccisero tre persone, ferendone altre 260, diciassette delle quali rimasero mutilate. E che poi, nella caccia al responsabile  Dzhokhar Tsarnaev, vide un agente ucciso e il fratello complice dell’attentatore Tamerlan Tsarnaev  che a sua volta perse la vita durante uno scontro a fuoco con la polizia.

Boston per noi è la vittoria di Gelindo Bordin,  il 16 aprile del 1990, dopo l’oro ai Giochi del 1988,  che da queste parti scrisse un pezzo di storia che non cancellerà più nessuno:  primo in 2:08’19” e primo campione olimpico a vincere anche a Boston. Mai più successo. Ma anche la storia di Danilo Goffi  che ormai quasi una decina di anni fa , a 43 anni, qui regolò un conto in sospeso,  primo italiano, primo master, secondo europeo e 15° assoluto col tempo di 2:18’44”.

Boston è la prima donna di sempre al traguardo di una maratona.  Storia che va ad alimentare il mito di una sfida che ha cambiato la storia della corsa e forse non solo quella con  Kathrine Switzer  che aggirò il divieto che impediva alle donne di correre le lunghe gare perchè si temeva fossero dannose per la loro fertilità. Ma  lei  si vestì da uomo e la corse lo stesso anche se un paio di chilometri dal traguardo un fotografo si accorse dell’inganno e  Jock Semple, l’organizzatore, cercò in tutti i modi di fermarla. Ma non ci riuscì  e le foto di quella prima donna maratoneta fa il giro del mondo.