“Facciamo finta di niente da troppo tempo e ci nascondiamo dietro alla Roubaix di Colbrelli. Il ciclismo italiano lo vedo malissimo. Guardi le corse e ti chiedi: dove sono gli italiani? Non siamo più protagonisti e soprattutto non ci sono italiani che corrono. Non ci sono più i numeri, non ci sono i giovani e sarà sempre peggio…”.  Così diceva Giuseppe Saronni più o meno un annetto fa quando il Centro Studi Grande Milano e la Fondazione Stelline gli conferirono la carica di Ambasciatore di Milano. Dritto al punto, mai banale come quando correva, puntuto come i suoi sprint, come quella sua fucilata a Goodwood, come la sua rivalità con Francesco Moser con cui, qualche sera fa in Rai, ha fatto una pace storica anche se la sensazione è che sia più una tregua e torneranno ad incrociarsi le lame…

Prendere o lasciare, Saronni è così. E rispetto a un anno non ha cambiato di una virgola il suo pensiero: “I giovani spesso si allontanano dal ciclismo perché in molti già nelle categorie minori vengono sottoposti a stress non necessari” spiega il campione del mondo che il 2 e 3 dicembre a Bologna negli spazi di FICO Eataly sarà tra i relatori del Campus Bike Convention: la scienza applicata al ciclismo. ” Il ciclismo è uno sport di fatica e di sacrificio ma i giovani hanno bisogno soprattutto di divertirsi- continua Saronni- Dal mio punto di vista non si possono copiare i professionisti quando si allenano i giovani perché organizzarli in modo esasperato li porta ad allontanarsi dal movimento e se oggi non abbiamo giovani che si appassionano al ciclismo, domani non avremo grandi campioni…”.

Parole pesanti, dette  da uno dei più grandi campioni italiani di ciclismo  di sempre e da chi,  come direttore sportivo, fa diretto squadre come Lampre, Bahrein e UAE.  Non solo. Pogacar alla Uae un lustro fa l’aveva portato lui, grazie ad una “dritta” di Andrej Hauptmann, ex corridore Lampre e amico suo  che gli aveva segnalato quell’adolescente terribile con il motore di una fuoriserie. Ci aveva visto lungo e non è mai un caso. La sua esperienza lo  porta a suonare  un campanello d’allarme per la crescita del ciclismo giovanile: “Investire nello sviluppo della pratica sportiva nei nostri giovani è molto importante non solo per creare dei campioni- spiega- ma per creare delle generazioni sane che ci costeranno meno in sanità nel futuro e ci daranno delle soddisfazioni in giro per il mondo. E basterebbe copiare dai più bravi. Gli esempi più ovvi da seguire sono la Danimarca e la Slovenia che hanno sfornato campioni come Vingegaard e Pogacar: i loro Paesi di origine hanno saputo coniugare la sicurezza sulle strade con corrette politiche di avvicinamento dei giovani allo sport. Ma oggi vale la pena prendere ad esempio anche alcuni paesi arabi come gli Emirati Arabi e altri paesi del Golfo Persico, in cui vengono spese grosse risorse negli sport, soprattutto nel ciclismo, semplicemente per dare un esempio e un modello sano alle nuove giovani generazioni. Perché con la promozione dell’attività sportiva promuovono una società più sana in cui i giovani imparano le basi di una corretta alimentazione e a utilizzare il proprio corpo per combattere l’insorgere di eventuali malattie future dettate dalla sedentarietà”.

La sua “ricetta”  non risparmia un messaggio forte anche a chi gestisce le poche società sportive rimaste: “Non si possono copiare i professionisti quando si allenano i giovani perché organizzarli in modo esasperato li porta ad allontanarsi dal movimento e se oggi non abbiamo giovani che si appassionano al ciclismo, domani non avremo grandi campioni”. Perché i ciclisti di oggi sono più forti di quelli del passato? Quanto contano l’innovazione tecnologica e scientifica? Come rilanciare il ciclismo? “Io penso che sia difficile mettere a confronto i ciclisti di ieri e quelli di oggi- spiega- L’unica cosa che rimane è la classificazione in scalatore, velocista e passista. Il resto le bici, i materiali, i metodi di preparazione, l’abbigliamento, le conoscenze mediche e scientifiche è tutto diverso. E forse qualche corridore del passato, veloce e brillante, si sarebbe trovato anche meglio oggi”.

Sono diversi quindi gli atleti, così come sono diverse le loro biciclette. “L’innovazione ha fatto veramente la differenza- spiega Saronni- Dal numero dei rapporti allo sviluppo metrico, dal peso delle bici, che allora era di 11-12 kg, ai freni; le bici di oggi hanno un rendimento che fa impressione. Ma per far crescere giovani deve esserci una specifica volontà, una volontà che ha bisogno di risorse, di finanziamenti, di incentivi che facciano succedere le cose, e quindi di un impegno concreto da parte delle istituzioni- Durante Campus si parlerà anche di questo, dell’approccio scientifico alla preparazione atletica, dei giovani in particolare che diventa anche una necessità se vogliamo rilanciare il movimento in Italia”