Giro, un canguro nella terra dei lupi
[photopress:giro.JPG,full,alignleft]Solitamente evito di commentare le tappe del Giro. Per il Giornale lo fanno molto meglio di me ogni giorno Cristiano Gatti e Pier Augusto Stagi. Ma oggi la tappa che partiva da Lucera e arrivava all’Aquila e che con i suoi 262 chilometri era la più lunga della corsa, passava in Molise, a pochi chilometri da casa mia, sul Macerone una delle salite che amo di più e che ho quasi consumato salendo dal bivio delle Quattro strade fino a Rionero Sannitico. Il mio è un giro tondo. Parto da Cerro al Volturno, salgo ad Acquaviva e poi inizio a soffrire sui tornanti che portano al valico di Rionero dove c’è ancora un forno che fa il pane con la farina e le patate. Picchiata verso Alfedena ( qui siamo in Abruzzo) poi di nuovo salita, gran premio della montagna scollinando a Montenero, Pizzone, Rocchetta al Volturno e di nuovo a casa. In tutto un’ottantina di chilometri che sono un bell’allenamento per le gambe e una panacea per lo spirito perchè da queste parti, soprattutto dopo l’avvento di un paio di superstrade che hanno tolto di mezzo il traffico che da Napoli va a Pescara, le provinciali è quasi come se fossero piste ciclabili. Niente traffico, natura praticamente intatta, silenzio e aria <fina>: l’unico pericolo sono qualche gregge di pecore che ti puoi ritrovare davanti dopo una curva cieca o qualche cane che gironzola senza padrone. Insomma un paradiso per chi ama pedalare. Ma c’è un ma. Anche d’estate da queste parti il tempo cambia in fretta. Esci con il sole e trenta gradi ma no sai mai come può andare a finire. Qualche anno fa dopo aver sudato come un cammello sulle rampe di Rionero mi sono ritrovato nel bel mezzo di una tormenta sulla discesa di San Francesco. Un incubo. La pioggia, il vento, il freddo improvviso. Le ruote che cercavano l’asfalto sul torrente che era diventata la strada. Curva dopo curva sempre meno lucido e sempre più incapace di dare ordini alle mie gambe e alle mie mani ormai semicongelate. Oggi, guardando la tv, mi sembrava la stessa giornata. Mi hanno colpito la faccia di Vinokourov che pedalava e tremava di freddo, quella di Evans incapace di una qualsiasi smorfia, gli occhi sbarrati di Basso e Garzelli, le dichiarazioni di Gibo Simoni all’arrivo che non riusciva ad articolare le parole. Una tappa da tregenda con più di 40 corridori fuori tempo massimo. Una tappa terribile dove è successo di tutto e che ha portato la maglia rosa sulle spalle dell’australiano Richie Porte: un <canguro> incoronato nella terra dei <lupi>.