Katia, la donna che sfida i deserti
Dai Navigli ai deserti più sperduti passando per le colline tortonesi dove da qualche tempo si allena e si è trasferita. Seguendo la sua strada, il suo lavoro e un po’ anche il suo cuore. L’avventura di Katia Figini, 35enne atleta milanese con un passato in una nota azienda editoriale e un presente da piccola imprenditrice, sta tutta in una mano. Una mano piena di sabbia. Cinque deserti da attraversare da sola, qualche volta in autosufficienza, in cinque continenti del mondo. É la prima donna che lo fa e non è uno scherzo. Ma ne vale la pena visto che la Figini con la Fondazione Fondiaria Sai e il suo progetto «Run for Women», al termine della sua fatica porterà visibilità ad una delle tante battaglie della Fondazione presieduta da Giulia Ligresti in difesa delle donne che nel mondo ancora subiscono violenze. E sono molte. La Figini è quasi a metà dell’opera. Ha già corso e vinto ad ottobre la Sahara Race, 250 chilometri nella valle delle Balene in Egitto, e si è ripetuta a novembre in Oman sbaragliando la concorrenza sui 170 chilometri dell’altopiano di Halout. Ora nel mirino c’è un terzo deserto ed è cominciato il conto alla rovescia. «Sì, parto il 27 febbraio- racconta- Vado in America del Sud dove correrò una gara in Cile attraversando il deserto di Atacama. Sono pronta anche se questa volta la variabile sta tutta nell’altitudine visto che si correrà dai 2300 ai 3500 metri». Una difficoltà in più che Huber Rossi, il suo preparatore atletico sta cercando di esorcizzare ritoccando le tabelle di allenamento. Scarpe da trail, quelle con la suole più marcata che si usano per le corse in montagna, borracce e poi lo zaino. Più o meno sette chili, in cui ci deve stare tutto ciò che è necessario per evitare guai: un sacco a pelo, i vestiti asciutti, la bussola, cibo, gel e barrette energetiche per «far benzina» quando le gambe non ne vogliono più sapere. Katia nei deserti ci è arrivata per caso, come capita sempre quando s’incontrano le grandi passioni. Aveva sempre fatto sport ma le gare estreme sono tutta un’altra cosa: «Correre mi è sempre piaciuto- ricorda- ma ad un certo punto della mia vita mi sono accorta che cercavo qualcos’altro. Che non trovavo allenandomi a Milano o pensando a una maratona. Poi un giorno ho conosciuto un allenatore che ha visto i risultati dei miei test e mi ha proposto l’avventura in un deserto dell’Oman. É stata la scintilla, poi sono arrivate le gare in Namibia, nel Mali e nel Sahara…». E poi è arrivata anche la Fondazione Sai che cercava una sportiva per continuare un discorso sulla dignità delle donne e dell’infanzia nel mondo che ha già portato a costruire una scuola in Burkina Faso, a realizzare un porgetto per la difesa delle adolescenti che subiscono violenze in Afghanistan e sull’infanzia dimenticata in Etiopia. «Stiamo correndo insieme- spiega la Figini- e il messaggio è semplice. Qualche anno fa io ad attraversare un deserto da sola non ci pensavo nemmeno. Come molte ragazze milanesi correvo sul tapis roulant di una palestra. Poi però ci ho provato ed ora in un anno spero di riuscire a farlo in cinque continenti diversi. Quello che voglio che si capisca, che le donne capiscano, è che non ci si deve rassegnare ad una condizione…». Dopo il Cile, dopo l’altopiano di Atacama toccherà, a maggio, alle Blue Mountain in Australia e, a luglio, un deserto del Colorado. Poi sarà missione compiuta. Poi toccherà a qualche deserto ancora. «Correre sulla sabbia e tra le dune quando attorno a te c’è solo il nulla è una delle emozioni più forti che ti possano capitare- ammette Katia- Il silenzio e il fatto di essere quasi sempre da soli ti abitua a fare i conti solo con te stesso e capire cosa ti sta per accadere: sai quasi sempre come reagiranno il tuo corpo e la tua testa. Paura? No mai, neppure di notte quando capita di arrivare magari un po’ tardi ad un campo base. Sinceramente mi preoccupo molto di più quando corro al Parco Nord…».