Paralimpiadi, il riscatto ha un prezzo
Anche il riscatto ha un prezzo. E non sono solo scarifici, forza di volontà, voglia di farcela contro tutti e tutto e contro un destino che ti si è rivoltato contro. Le Paralimpiadi sono iniziate, a Londra è tornato ad accendersi il sacro fuoco di Olimpia e le imprese degli atleti hanno giustamente lo spazio che meritano. Sempre di più rispetto al passato. Ed è una conquista innegabile di civiltà, un segno di una cultura dello sport che cresce. Ma mai come in questa manifestazione le gesta di chi scende in pista, nuota o pedala rischiano di pagare un prezzo alla retorica. Forse troppa. Si perchè a volte l’enfasi con cui si sottolinea l’azione di un paratleta ne sottolinea proprio la diversità. Ed è prorpio quello che questi atleti non vorrebbero. Ma soprattutto perchè nelle paralimpiadi il compasso tra chi ha alle spalle una federazione ricca e chi non ce l’ha, tra chi ha gli sponsor e chi non ha la fortuna di trovarli si allarga. Quindi il riscatto costa. In ogni gara, in ogni tempo in ogni medaglia c’è tutta la poesia di ogni storia personale ma c’è anche la freddezza dell ’hi-tech. Lunga vita a chi fa ricerca per aiutare un disabile a “partecipare” ma in nessun altra competizione al mondo, l’innovazione tecnologica gioca un ruolo così fondamentalele decidendo chi vince e chi perde. Tanto da spingere alcuni a sostenere che i Paesi più poveri in molti sport hanno poche speranze. E la guerra dei ricchi contro i poveri, la solita. La Cambogia, tanto per fare un esempio, è il Paese che ha la concentrazione più alta di persone amputate al mondo, ma a Londra è riuscita a portare un solo atleta, E il motivo si intuisce. Per correre servono protesi avveniristiche e costose, servono soldi per comprarle e servono centri di ricerche per pemettere di trovare materiali, testarli e poi adattarli agli atleti a seconda delle loro carattersitiche. Thin Sen Hong, sprinter cambogiana. ha un modello base di lame da corsa pagatogli dagli amici e proverà a stare al passo delle altre anche se sa già che sarà fatica inutile. E la sua allenatrice ha ha un po’ rotto il clima di melassa di questi giorni protestando perchè sa che la sua atleta sarà penalizzata nella corsa contro colleghe che possono contare su lame «che valgono decine di migliaia di dollari». E ci si potrà emozionare per la sua tenacia, per la sua voglia di arrivare e partecipare ma la realtà e che sulla pista vincerà chi mezzi più moderni e costosi. Le lame più celebri sono quelle del sudafricano Oscar Pistorius fatte con 80 strati di fibra di carbonio e che accumulano energia riutilizzandola nel momento più utile, quando cioè la gamba si stacca dal suolo. Fantascienza. Le Flex Foot Cheetah, questo il nome del modello, sono state inventate da un amputato statunitense, Van Phillips, e sono prodotte da un’azienda islandese, la Ossur. Nelle Paralimpiadi l’innovazione è centrale da sempre, basti pensare alle sedie a rotelle dei primi Giochi tenutesi all’ospedale di Stoke Mandeville nel 1948, che pesavano dieci volte di più di quelle utilizzate al giorno d’oggi. E tocca anche le bocce che in genere sono lo sport dove gioca anche chi non è capace, quello alla “viva il parroco”. Qui no. Qui a fare particolarmente invidia è la rampa usata dalla squadra britannica, che permette agli inglesi di essere più accurati dei rivali nel posizionare la biglia il più vicino possibile al pallino. La rampa in fibra di carbonio è prodotta da un’azienda dell’Hertfordshire, la Angle Consulting, che fa parti per le auto della Formula 1. E infine esistono dispositivi come «l’abito bionico» ReWalk, sperimentato due anni fa dalla sciatrice britannica di discesa libera Jane Sowerby alle Paralimpiadi invernali di Vancouver. Prodotto dalla Cyclone Technology, funziona come uno scheletro esterno che spinge le ginocchia e le anche a camminare con l’aiuto di stampelle. ReWalk ha permesso a Clair Lomas di completare la maratona di Londra quest’anno. Insomma il progesso va avanti e dà la possibilità anche a chi è stato sfortunato di giocarsela. Ed è una cosa bellissima. Ma non vale per tutti. C’è chi può giocarsela più di altri e chi non può giocarsela proprio perchè il riscatto a un prezzo a volte troppo salato. E questo va detto senza retorica. Senza ipocrisie.