La maratona e l’ombra del doping
L’ombra del doping. C’è ormai sempre l’ombra del doping. Vedi un atleta stravincere, vedi un ciclista inventarsi la fuga della vita, vedi un maratoneta abbattere tutti i record e, comunque, un sottile sospetto ti viene. Poi lo cacci via, perchè da innamorato dello sport lo devi cacciare via, però il dubbio ti sfiora. Ed è questo secondo me l’effetto più devastante del doping: che ti fa perdere la fiducia. Mette tutto in discussione, tutti nello stesso maledetto calderone: buoni, cattivi, onesti e disonesti. E così capita che alla vigilia di una maratona importante come quella di Berlino un campione come Geoffrey Mutai non si ritrovi davanti ai microfoni a parlare della sua gara di domenica: «Non ho nessun contatto con i medici che hanno offerto sostanze proibite» sono le sue prime parole alla conferenza stampa della Maratona di Berlino, dove correrà per battere il record del mondo del suo connazionale Patrick Makau (2:03:38). «Il doping è un danno per l’atletica e contribuisce a raddoppiare i controlli sugli atleti già così assidui», aggiunge. Tutto ciò perchè, dopo alcuni mesi di silenzio, la Federazione del Kenya ha ammesso giovedì per la prima volta che esiste un fondamento nelle denunce contro alcuni medici keniani sui quali si sta indagando. Sembrerebbe che i medici abbiamo somministrato del doping agli atleti del Kenya. E così nel calderone ci finisce anche Mutai. Che punta molto su Berlino dopo aver fallito la qualificazione per i Giochi Olimpici di Londra Se dovesse stabilire un nuovo record, riceverebbe 120.000 euro: 50.000 per il record, 40.000 per la vittoria e 30.000 di bonus per aver terminato in meno di due ore e 4 minuti.