Torno sulla maratona di Venezia per raccontare la storia di don Marco Pozza, cappellano del carcere di Padova e maratoneta. Va fortissimo il “don”. Ieri  in quel tormento che è stata la gara è arrivato 27mo assoluto  e primo della sua categoria in 2 ore e 47 minuti. Un missile. Lo avevo sentito prima della gara perchè la sua storia mi aveva affascinato. Come sportivo e soprattutto come parroco e per come  intende il suo sacerdozio. E quella chiacchierata è diventata l’articolo che segue pubblicato pcohi giorni fa sul Giornale.  Azzardo una considerazione che probabilmente lo farà un po’ arrabbiare: se ci fossero più don come lui probabilmente nelle nostre chiede ci sarebbero più giovani. Perchè lo sport è un grimaldello che apre tante porte…

Incontri Don Marco e più che il profumo dell’incenso senti quello dell’olio canforato. Si può scrivere non è un sacrilegio. Ma Don Marco Pozza, 32 anni, cappellano del carcere di Padova è un parroco che il sacerdozio lo vive sulla strada, spesso con le scarpe da corsa. E corre anche veloce. Domenica, tanto per capirci, sarà a sudare e faticare a Venezia dove finirà la sua maratona in poco più di 2 ore e quaranta minuti. Un amen, tanto per restare in tema. Un tempo da campione che, per chi non sa di corsa significa farsi un chilometro in meno di quattro minuti. Così per 42 volte, fino all’ultima goccia di energia. Ma il don è abituato alle sfide complicate. E non solo nello sport. Anni fa quando arrivò a Padova a colpirlo fu il fatto che nella sua chiesa non si vedevano i giovani. Panche vuote. «E dove sono?» si domandò. La risposta la trovò nei locali e nei pub della sua città, perchè da quelle parti il «rito» più che in chiesa si consuma al banco davanti a uno spriz. «Così sono andato a cercarli- racconta- Piano, piano ho cominciato a parlare con loro in piazza, in strada insomma ho stabilito un contatto. Tre, quattrocento alla fine i ragazzi che hanno cominciato a seguirmi sono diventati molti di più. In qualche modo ho spiegato loro chi fosse Gesù ma soprattutto li facevo pregare…». E continua a farli pregare nella sua parroccia vituale su Internet (www.sullastradadiemmaus.it) dove ha migliaia di visite al giorno. Ma si sa come vanno le cose. Soprattutto in provincia ci vuol poco a far girare le voci. Così don Marco per tutti è diventato «Don spritz», un soprannome che forse ha fatto un po’ storcere il naso ai suoi superiori ma di cui lui non si vergogna affatto. «Per me il sacerdozio è una missione da svolgere in mezzo alla gente. Mi hanno sempre affascinato i preti di frontiera che rischiano in prima persona, che non si tirano indietro che pagano per i loro errori. La mia chiesa è quella che sta con i poveri. Ma non solo con chi non ha soldi. Parlo delle persone che sono povere di sogni, di desideri che non hanno educatori che li rendano protagonisti. E questo che oggi ci manca, e il mio è un grido appassionato a una chiesa che spesso non riesce a parlare ai giovani». E lo sport in questo senso è un grimaldello. Lo sport per Don marco è come la musica, cioè un alfabeto che i ragazzi capiscono e che arriva dove oggi spesso c’è il deserto. Così lo sport è entrato prepotentemente nella sua vita. Con la bici ha chiuso qualche anno fa dopo aver concelebrato il funerale di Marco Pantani. Una ferita. La sua passione è rimasta intatta ma quel giorno ha cambiato molte cose. Così si è messo le scarpe da running. Prima maratona tre anni fa a Padova, in poco più di tre ore. Al traguardo incontra Alex Zanardi che gli fa i complimenti e poi la butta lì: «Ti ho visto correre…se ti impegni puoi fare grandi cose». L’avesse mai detta una frase così Alex Zanardi da Castel Maggiore. «L’ho preso in parola- racconta il don- Anche perchè la corsa mi aiuta a tenere ordinati i pensieri che ho in testa così non ho mai fatto fatica ad allenarmi…». Tutte le mattine che il Signore manda in terra sveglia alle 4.30 e fuori a correre. Centoventi, centrotrenta chilometri alla settimana e così arrivano le altre gare e le altre maratone. Ma non basta. La maratona, il cronometro, i tempi, sono solo il pretesto. A don Marco interessa ciò che con lo sport può dire ai suoi ragazzi. A quelli che da più di un anno segue in carcere a Padova. «Sì, ho un progetto che spero possa diventare realtà- racconta- E cioè far correre la prossima maratona del Santo ad aprile a quattro detenuti. Per me e per loro è una bella sfida. E’ il modo per riscattarsi ma è anche un insegnamento. Uno dei più grandi problemi nella vita in cella è l’ozio. Allenarsi e preparare la maratona significa ribaltare questa logica, significa rimettere in piedi il fisico ma anche il cuore e la testa. Serve a capire che per arrivare al traguardo ci si deve preparare con passione, un mattoncino al giorno. Ed è un metodo che poi ti porti fuori». Così si allena e si allenano. Così dopo Venezia toccherà a Padova. Una bella storia di riscatto che don Marco ha anche raccontato in un libro: «Contropiede». «Si chiama così- dice- perchè io amo i gol fatti in questo modo. Sono una metafora. Quante volte capita che ci sia una squadra più forte di un altra, che domina tutta al aprtita e poi all’ultimo minuto gli avversari la battano con un gol in cotropiede? E come nella vita. La partita non è mai finita. Anche i ragazzi che hanno fallito hanno in tasca la possibilità di ribalatarla la loro partita. Sempre». E forse è anche per questo che la prefazione del suo libro don Marco l’abbia chiesta proprio ad Alex Schwazer, il marciatore azzurro, finito nella rete del doping: «Quando è successo quello che è successo- racconta- in tanti mi hanno detto . Bella figura! Tu che predichi i valori dello sport. E invece no. Io credo che l’uomo non si debba identificare con i suoi errori. Alex ha fatto ciò che ha fatto prorpio perchè nel suo sport non si divertiva più. Ecco cosa succede quando non ci si diverte più…ci si complica la vita».

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