Niente corsa e niente maratona. Ma quando ci vuole ci vuole. Oggi si parla di tutt’altro. Di Alessandro Sallusti in carcere ai domiciliari. «Che un giornalista finisca in carcere per il suo lavoro è un’aberrazione, una ferita che smaschera i limiti della nostra incompiuta democrazia. È inaccettabile  Il Parlamento avrebbe potuto guarire questa ferita riformando la legge sulla diffamazione, ma dopo due mesi di lavoro hanno partorito una legge peggiore di prima. Perchè? C’è forse sete di vendetta nei confronti di stampa e tv che ogni giorno raccontano del malgoverno di comuni, province e regioni o degli sprechi e degli abusi della classe politica italiana? Alla fine  la nuova legge è morta, il carcere per i giornalisti rimane e tutto riparte da zero. Complimenti, bella lezione, degna di un paese incivile come il nostro. Siamo gli unici in Europa che arrestano i giornalisti per il loro mestiere. Neppure la traballante democrazia ucraina prevede il carcere per diffamazione: alcun settimane fa il parlamento di Kiev ha tentato di reintrodurlo ma è stato sommerso dalle proteste popolari con lo slogan stop alla censura. Censura, è il termine esatto anche nel nostro Paese. Altrimenti sarebbe inspiegabile la totale mancanza di volontà nell’abolire il carcere per la diffamazione. Sotto questa spada di Damocle nessun giornalista vorrà più correre il rischio di fare inchieste scomode. Che vergogna. E pensare che l’Europa ci ha anche ammonito. Invano. Siamo sempre solerti nel rincorrere Bruxelles quando ci indica come dobbiamo spendere i nostri soldi e quante tasse dobbiamo pagare, ma quando si tratta di diritti la musica cambia. E i nostri politici sono notoriamente stonati. Nessuno chiede l’impunità, ci mancherebbe , è giusto che ci sia un risarcimento del diffamato e una sua riabilitazione immediata attraverso una rettifica chiara e palese. Ed è giusto che il giornalista responsabile sia sanzionato, ma non con il carcere, che è una pena da regime liberticida. Per questo motivo siamo vicini al nostro direttore e continueremo questa battaglia per difendere il diritto di informare. Siamo tutti Sallusti». Questo era il comunicato scritto dal comitato di redazione del Giornale, cioè da tutti i giornalisti del Giornale. Probabilmente di parte nel difendere il nostro direttore. Ma forse in qeusto caso è in ballo anche un principio. Non mi aspettavo grande solidarietà dai colleghi degli altri giornali. Ma ciò che ho letto stamattina dalla Stampa, al Fatto Quotidiano passando per altre illuminati pensieri che circolano on line mi hanno davvero fatto rabbrividire. Una vergogna. Fiumi d’inchiostro sulla dorata detenzione che Sallusti dovrà scontare forse in casa Santanchè. Righe, righe e righe sui rubinetti d’oro, sugli affreschi, sulle ghirlande illuminate di Natale alla finestra e via così. E la libertà di stampa di cui sono sempre pronti a riempirsi la bocca gli illuminati colleghi dei giornali illuminati? E il diritto all’informazione tanto sbandierato? E quelli che quando li sfiori s’indignano prontissimi a parlare di vile attacco alla libertà di un giornalista? Neppure una parola, neanche un accenno. Spariti tutti. Latitanti, i colleghi con la schiena dritta. In questo caso non vale. In questo caso non ci si agita, non si alzano barricate e ovviamente non si sciopera. Chissà cosa sarebbe successo se ai domicialiri ci fossero finiti Mauro, Calabresi o Padellaro?