Non cancellate l’altro Oscar, atleta più forte del destino
L’immagine di Oscar Pistorius che scatta dai blocchi di partenza dei 400 metri olimpici di Londra rimane lì sul megaschermo dello stadio. Gli atleti non si cancellano. È stato l’unico con le protesi a giocarsela con i «normali», la sua grande battaglia che emozionò il mondo e fece discutere. E questo per sempre gli varrà un albo d’oro. Che fine invece farà l’uomo saranno i giudici a dirlo quando chiariranno per sempre chi volesse uccidere: se la sua bellissima fidanzata Reeva Steenkamp oppure i ladri come sostiene il suo avvocato. E le due fotografie si sovrappongono: quella in calzoncini e canotta gialloverde della nazionale del Sudafrica lascia il posto a quella di un ragazzo col capo chino coperto da una felpa che esce la stazione di polizia di Bosckop. É finita, il superuomo non c’è più abbattuto da quei quattro colpi di pistola. «Blade runner», come lo avevano soprannominato, invece continuerà a correre. Vita e sport su binari paralleli, due strade, due anime che combattono. Perché Pistorius combattente lo è stato sempre, già da piccolo quando si è trovato con due protesi al posto delle gambe. Ha lottato, si è allenato, ci ha creduto e alla fine l’ha spuntata. Ha vinto ori nei giochi paralimpici ma ha vinto anche un argento due anni fa nella staffetta tra i normodotati ai mondiali di Daegu in Corea. Soprattutto è diventato simbolo di uno sport che a qualcuno ancora crea imbarazzo e che lui ha tirato fuori dal limbo della compassione. Ha dato una speranza a chi vive su una sedia a rotelle, con una protesi, agli storpi che sognano l’impresa o solo la normalità. Ha cancellato il pregiudizio. Non un campione disabile ma un campione come gli altri che è finito sulle copertine di Time e che People ha messo tra gli otto uomini più sexy del mondo. E tutto ciò resterà negli occhi di chi lo ha visto correre. L’uomo invece si piegato alle miserie della vita: bello fuori dannato dentro. Come tanti altri eroi sportivi. Da OJ Simpson, star del football americano, accusato nel ’94 di aver ucciso l’ex moglie e poi assolto tra le polemiche, al più grande peso medio della storia della boxe, quel Carlos Monzon che proprio nella notte di San valentino strangolò la moglie Alicia Muniz buttandola giù da un balcone. La sua faccia da indio se la sognano ancora in tanti compreso il nostro Nino Benvenuti. Un pugile immenso, l’argentino, capace di cose immense sul ring e di balordaggini altrettanto immense nella sua vita di tutti giorni. Ma la lista dei campioni con due anime e dalle vite maledette è lunga e Oscar Pistorius è solo l’ultimo arrivato. Ed è il finale che non ti aspetti. Perché un campione che riesce a battere il suo destino sembra quasi l’eroe predestinato di un racconto che può solo diventare un libro di successo. Ma quattro colpi di pistola rovinano il finale. C’è un uomo che finisce in carcere accusato di omicidio e c’è un atleta che scatta dai blocchi di partenza dell’olimpico di Londra. E resterà lì per sempre.