A Boston col cuore, la maratona di un oncologo in odore di nobel
Domani si corre la maratona di Boston. Domani negli Stati Uniti è il Patriot Day e Boston lo celebra con uno stato d’animo particolare. Un anno dopo le bombe dei fratelli ceceni, la maratona è diventata per molti una missione. Gli americani hanno dimostrato al mondo di che pasta sono fatti e così è stato dopo l’11 settembre e cosi è stato dopo quella bomba sul traguardo della maratona più antica del mondo. Domani si torna a correre e c’è un motivo in più per correre a Boston. Quest’anno è la 118esima edizione per 36mila iscritti non è un record ma comunque una bella cifra anche perchè Boston non è New York dove corrono tutti. Qui i criteri di selezione sono più severi, bisogna firmare un tempo minimo che è un po’ come qualificarsi. E anche per questo il fascino di Boston è tutto particolare. Domani tra i tanti al via ci saranno anche moltississimi italiani, come sempre. Ma ci sarà anche Pier Paolo Pandolfi, oncologo italiano di Harvard in odore di Nobel, Taglierà il traguardo di Boylton Street portando una doppia bandiera: di una città che non vuole sentirsi sconfitta e di un laboratorio al lavoro da anni con determinazione per battere il «male del secolo». 50 anni, direttore del Cancer Center e del Cancer Research Institute al Beth Israel Deaconess Medical Center affiliati a Harvard, Pandolfi di maratone ne ha finite sei finora, tra Londra, Roma e New York. A Boston è la prima volta, e anche la prima con i colleghi del suo laboratorio: «Un modo di mostrare solidarità con chi in quei giorni si è mobilitato e per le persone innocenti- ha spiegato all’Ansa- E per i morti e i feriti di quel tragici lunedi». Ci sono paralleli tra la maratona e il lavoro quotidiano dell’oncologo: “In una maratona devi sapere cosa succede al tuo organismo e capire il dolore- spiega -Il momento più straordinario è quando proprio non ce la fai più e l’applauso della folla ti spinge in avanti. Fisicamente. Lo senti addosso«. È questo tipo di sostegno che manda avanti Pandolfi, dalle strade di Boston alle corsie dell’ospedale al fianco dei malati. Per l’oncologo, i cui genitori sono morti di cancro e che ha scoperto una cura per una forma un tempo fatale di leucemia, ogni giorno è una mini-maratona nella ricerca di strategie per battere la malattia. »La lotta contro il cancro per me è un fatto personale: ho perso troppa gente che amavo, ma so che si può curare. L’abbiamo fatto una volta. E lo potremo fare di nuovo«.