La corsa di Rebekah per dimenticare Boston
Ci sono storie che vanno raccontate perchè sono necessarie. Servono da sprone, a scrollarsi dosso ogni alibi possibile, sono esempio, danno coraggio, la voglia di andare avanti in modo ostinato e contrario, diventano iniezioni di adrenalina per chi ha un conto aperto con il destino. Ma anche per chi non ce l’ha e non si rende conto che c’è una bella differenza. E la storia Rebekah Gregory DiMartino sopravvissuta alla strage della maratona di Boston di due anni fa è una di quelle. Non serve aggiungere altro, basta la cronaca a darne il senso. Rebekah quel 15 aprile del 2013 era sulla linea del traguardo. Era lì con suo figlio di cinque anni e Pete, il suo fidanzato, che si preparavano ad applaudire gli atleti e si sono trovati a fare i conti con tre morti e 275 feriti. Una strage. E’ incredibile come la vita possa cambiare in un secondo. Così lei che fino a un istante prima neppure ci pensava si è ritrovata far da scudo con il corpo al suo piccolo salvandogli la vita ma pagando un prezzo altissmo. Ora dopo l’amputazione di una gamba, quindici operazioni e un’inifnita riabilitazione Rebekah ha annunciato che il 29 marzo sarà al via dell’ Unesco Cities Marathon in Firiuli che da Cividale arriverà Aquileia che quest’anno sarà «la Maratona della Pace». Sembra un cerchio che si chiude: da Boston a Cividale, dal terrorsimo alla pace, dalla sofferenza alla gioia, un destino ad un altro. Ma forse è solo un fatto di coraggio. Che serve sempre e storie come questa aiutano a trovarne…