“La mia Africa? Squali, Oceano e adrenalina…”
“Squali, Oceano, notte e adrenalina…Pensieri che non escono dalla mia testa e una tensione che aumenta giorno dopo giorno…”. E ne mancano pochi. Poi si parte. Anzi poi parte Danilo Callegari che sul suo profilo Facebook conta i minuti e forse non vede l’ora di salire su quell’aereo che lo porterà in Africa per cominciare il terzo capitolo del suo progetto che lui, 32enne alpinista di Pordenone, racconta come se fosse un viaggio più che un’impresa da supereroe. “7 summit solo project”, scalare le sette vette più alte dei sette continenti in solitaria ma anche tanto altro di più. Le Ande del Sud America con il Cerro Aconcagua e il Monte Elbrus nel cuore del Caucaso sono già in archivio, dal due ottobre la sfida sarà un’altra. E l’asticella si alza ancora. Callegari partirà a nuoto da Zanzibar e dopo 50 chilometri senza sosta in 24 ore nell’Oceano indiano attraverserà correndo la savana della Tanzania per 1200 chilometri in 27 giorni, una maratona al giorno. Poi comincerà la sua ascesa sul Kilimanjaro partendo da un campo base di 1600 metri fino a salire senza soste intermedie agli oltre seimila metri della vetta. “E’ da due anni che preparo questa avventura- racconta con la naturalezza di chi è abituato a far cose che ad altri sembrano fantascienza- L’abbiamo studiata nei dettagli ma è chiaro che le incognite sono tante. Che poi l’incognita è l’essenza di viaggi così perchè se il risultato fosse garantito che sfida sarebbe?”. Detto così sembra tutto facile. Ma è chiaro che non lo è. C’è l’Oceano, c’è la fatica immensa di nuotare per 50 chilometri in acque aperte, tra le onde e le correnti, al buio , scortato solo da due canoe con delle antenne anti-squalo e da una barca appoggio con a bordo un medico e un infermiere rianimatori degli ospedali di Udine e Pordenone: “Paura di essere attaccato?- spiega allargando le braccia Callegari appoggiato ad un bancone in legno nel nuovo spazio Natked a Milano- Sì ce l’ho, è chiaro. La paura ci deve sempre essere ma bisogna imparare a gestirla, non deve diventare panico. Così una sfida come questa va studiata, preparata, non ci deve essere nulla di improvvisato. Vanno studiati i pericoli. Poi restano tante incognite e non si può far nulla. Squali compresi. Ma fasciarsi la testa prima non serve, se capiterà decideremo cosa fare. Altrimenti non si parte nemmeno…”. Semplice. Sembra tutto semplice a sentirlo parlare. Più testa che muscoli. Più cuore che braccia e gambe d’acciaio che comunque ci sono. E servono. “La prima cosa è imparare a staccare la mente dal dolore- spiega- perchè la fatica resta ed è tanta. Anche se la cosa che mi preoccupa di più è il mare, sono quei 50 chilometri a nuoto perchè in acqua tutto si complica anche il mangiare, il bere, il fatto di stare tante ore in orizzontale…”. E la sensazione è che ciò che venga dopo sia quasi una ricreazione. ” No, no è così- assicura- Io sono un alpinista e uomo di terra quindi fuori dall’acqua mi sento più a mio agio. Ma ho fatto allenamenti specifici anche per affrontare la montagna salendo e scendendo in 24 ore dal Monte Rosa e per la corsa allenandomi nelle stesse condizioni di fatica e di solitudine nelle foresta slovena”. Ventisette maratone in ventisette giorni, si fa fatica anche a scriverlo. Eppure si fa. ” Certo è un fatto fisico ma è soprattutto un fatto mentale- racconta Callegari– Sai che quello è il tuo obbiettivo, che ti sei preparato anni per arrivarci e quindi devi solo riuscire a mantenere il giusto equilibrio mentale…”. Serve. Ci si allena anche per quello magari con lo yoga. O forse è nel Dna. ” Non lo so sinceramente- spiega- Ti viene. Così se ti capita di essere solo sul ghiaccio di una montagna con la tua tenda che viene poratata via da raffiche di vento a 200 orari che fai? Piangi? Che piangi a fare…Tanto non serve a niente. Ecco allora tiri fuori tutto ciò che hai dento, che neanche immagini, che mai avresti pensato di poter avere…”. Chi glielo fa fare gliel’hanno chiesto in tanti. Chi non ha il coraggio o l’incoscienza di fare cose così di solito, con un bel po’ di invidia, dice che gli atleti estremi sono solo esibizionisti o vanno in cerca di qualcosa che non trovano: ” Zero!- taglia corto Callegari– Io non cerco proprio nulla. Faccio queste cose perchè questa è la mia vita, questa avventura è un tassello della mia storia a cui se ne aggiungeranno altri. E per farle faccio rinunce anche importanti perchè quando si parte a casa si lasciano genitori, amici che magari stanno in pena per te. Però poi capiscono…”. Tasselli. Tasselli che si aggiungono a tasselli a cui si ne aggiungeranno altri perchè dopo l’Africa arriverà l’Antartide. Tasselli che al ritorno diventeranno un film, immagini, documentari e servizi giornalistici perchè Callegari sarà seguito da un troupe che racconterà il suo viaggio. “Se ho messo in conto di diventare famoso? Assolutamente no, ma non è un problema e non mi importa. Ma se dovesse mai succedere sarei felice soprattutto per i miei sponsor…”