Non è doping ma chi ha sbagliato?
Non si parla di doping. “E’ sbagliato parlare di doping perché non è un caso di doping. Il caso di doping è quello che c’è in Russia, qui c’è un tema di procedure che non sono state rispettate sotto il profilo formale” dice il presidente del Coni, Giovanni Malagò. «Questo è un momento molto particolare per l’atletica italiana che scopro travolta dal doping. Nessun rappresentante dell’atletica trovato positivo. Di cosa parliamo? Mi porto dietro il dramma e la rabbia di molti atleti che tra ieri e oggi mi hanno detto ’noi smettiamo, chiudiamo quì”. Ma noi della Fidal siamo sereni, su questi atleti io ci metto la faccia. Dicono che hanno eluso i controlli e a gennaio ci sarà il processo, noi continuiamo a programmare il nostro lavoro per i Giochi di Rio con tutti quegli atleti dentro, perchè non ci sfiora nemmeno l’idea che possano essere condannati. Siamo in prima linea nella lotta al e lo siamo con i fatti” dice il presidente della Fidal, Alfio Giomi. D’accordo non si parla di doping e non se n’è parlato neppure stamattina sui giornali, bastava leggersi i pezzi. Se ne parla su Facebook ma Facebook è la piazza, è il bar, è la “pancia” dove ognuno è libero di dire, fare e insultare. Ed è il bello e il brutto della tanto sbandierata e nuova democrazia del pensiero che però proprio in casi come questi rischia di incartarsi. Non si parla di doping ma di “whereabouts” cioè della mancata segnalazione degli spostamenti che gli atleti sono tenuti a comunicare per permettere a chi deve di controllarli. Su 65 azzurri coinvolti, trentanove se la sono cavata con l’archiviazione mentre per gli altri 26 è scattata la richiesta di un deferimento che potrebbe portare ad una squalifica di due anni e quindi a dire addio ai Giochi di Rio e forse alla carriera. Potrebbe perchè per arrivare alla condanna ci dovrà essere ovviamente ( e giustamente) un processo in cui la giustizia sportiva, come si dice in questi casi, farà il suo corso. Se le richieste di condanne dovessero essere confermate in pratica a giugno in Brasile ci troveremmo senza una nazionale di atletica. E non è un dettaglio. Non si parla di doping ma di un sistema di segnalazione degli spostamenti che dicono tutti abbia delle falle enormi: complicato, macchinoso, burocratico e soprattutto inadeguato ai tempi. E sicuramente è così. Però la regola è quella e quindi andava rispettata. Avrebbero dovuto rispettarla gli atleti. Avrebbero dovuto farla rispettare i tecnici e i dirigenti delle società o dei gruppi militari. Avrebbero dovuto controllare che la rispettassero responsabili della Federazione e del Coni. Dov’erano tutti quanti? La domanda è assolutamente retorica ed è la prova di una leggerezza sconcertante su una materia che invece avrebbe bisogno di estremo rigore. Ma va così. Anche questa vicenda sa tanto di storia italiana dove alla fine si fa sempre fatica a trovare qualcuno che ammetta le colpe. Quindi come ha detto questa mattina il presidente Malagò “Nessuno ha barato…” ed è sicuramente vero. Però in molti hanno sbagliato e bisognerebbe dirlo.