I buoni maestri
Il canottaggio è uno sport duro. Più di tanti altri che regalano però gloria e denari. Il canottaggio è uno sport che per i colori azzurri, e non se ne abbiano a male tutti i campioni che hanno contribuito a scriverne la storia, porta soprattutto un cognome. Quello degli Abbagnale. Giuseppe e Carmine i “fratelloni d’Italia” guidati da “peppiniello” Di Capua che spuntava a fatica con la testa di quel “due con” che ha trasformato gli italiani da santi e navigatori anche in vogatori. Giuseppe e Carmine, come urlava il mitico Galeazzi che ha contribuito non poco crearne il mito, la gloria “se la sono andata a prendere”, se la sono conquistata vogata dopo vogata, e l’hanno saputa conservare con la discrezione dei grandi e dei semplici. Senza eccessi nè prima nè dopo e senza sbavature nè prima nè dopo. Soprattutto adesso. Soprattutto ieri quando le agenzie di stampa hanno cominciato a battere la notizia che Vincenzo, il figlio di Giuseppe oggi presidente della Federazione, è stato squalificato per aver saltato tre controlli antidoping. Vincenzo Abbagnale , azzuro di canottaggio sulle orme del padre e dello zio, non andrà a Rio. Non ci andrà ma non è questo il punto. La notizia della sua squalifica è stata data dal padre che, contrariamente a quanto è successo per gli stessi motivi nell’atletica, non ha battuto ciglio. Anzi, ha anche detto che fosse stato per lui gli avrebbe affibbiato anche più di un anno di stop. Ci sono controlli da fare e se uno non li fa è sacrosanto che venga squalificato. Punto. Il resto sono chiacchiere. Niente scuse. Nessuna critica alle procedure, alle norme complicate dei whereabouts, a indirizzi, recapiti non comunicati o comunicati male. Niente di niente. E non deve essere stato facile. Però questo è un altro oro che Giuseppe si mette al collo. Una lezione di cui si dovrebbe fare tesoro. Dovrebbero farne tesoro tanti presidenti di Federazione dal facile ricorso , tanti allenatori dall’alibi pronto e tanti papà incapaci di giudicare i figli anche davanti all’evidenza. Certo, ogni “scarrafone” è bello a mamma sua e quasi sempre è il migliore di tutti. Però ogni tanto sbagliano e bisogna essere capaci di ammetterlo.