Bici, non mimose
Meglio una bici che una mimosa. Meglio pedalare che ripetere un rito stanco è inutile che celebra la «Giornata internazionale della donna» banalizzandola in un festa spesso ridotta ad una cena vietata agli uomini con tanto di Californian dream man o cose simili. Che spesso diventa solo il pretesto per apparire, per recitare un copione da femministe atteggiate, da compagne chic che celebrano una ricorrenza irritante e fuoritempo. Che bisogno c’è di festeggiare le donne? Così nessuno. Così l’8 marzo sembra diventato più una mesta ricorrenza che non il momento di riflessione che dovrebbe essere. E allora meglio pedalare. Meglio salire su una bici e dimostrare che ci sono altri modi per rivendicare diritti sacrosanti o conquistarsi un pezzo di libertà che non è sempre scontata anche dove sembrerebbe. Per dimostrare che da Milano a Oslo, da Kabul fino in Uganda ci sono donne che fanno grandi cose anche se non sventolano bandiere, se non esibiscono mimose. Le vere rivoluzioni costano fatica e la bici è uno strumento per cominciare. Così capita a Milano che un gruppo di mamme di religione islamica provi a conquistarsi un pezzetto di libertà imparando a pedalare. Che non è la stessa cosa in tutte le parti del mondo. In molti Paesi musulmani infatti è proibito, a volte vergognoso, comunque malvisto e mai incoraggiato. Così le donne restano ferme, inchiodate dal pregiudizio e da un retaggio culturale che limita mobilità e libertà alla ricerca di un’emancipazione che passa anche da queste piccole, conquiste. Ed allora «Mamme in bici», il progetto di Cyclopride partito da qualche settimana nell’istituto omniconprensivo Luigi Cardorna diventa tutta un’altra cosa. «Si trasforma nello strumento per la conquista di una libertà- racconta Ercole Giammarco, presidente di Cyclopride- Diventa il mezzo per riappropriarsi di un diritto che può essere un passo importante per una maggiore indipendenza e quindi anche verso l’integrazione». Non a caso si parte dall’omnicomprensivo di Luigi Cadorna in via Carlo Dolci, in zona San Siro, uno degli istituti milanesi più multietnci in uno dei quartieri più multietnici e complicati della città. Si parte da qui per andare altrove per fare un piccolo passo verso un’emancipazione che anche a Milano non poi così è scontata: «Pochi giorni fa l’iniziativa è stata presentata da un’inviata di Striscia La Notizia all’Imam di Segrate- racconta Giammarco- e sinceramente la risposta che è arrivata è quella che non avrei voluto sentire. Non ha bocciato il progetto, ma ha fatto capire che nelle loro cultura le donne sono un bene prezioso quindi sarebbe meglio non girassero in bici che viene considerato un mezzo povero…». Povero o no la bici va. É poche settimane fa è arrivata fino ad Oslo, dove Paola Gianotti, manager pentita ed ora ciclista di lunghissime distanze che due anni fa ha fatto il Giro del Mondo e l’anno scorso la Transiberiana da Mosca a Vladivostock unica donna a finirla, ha consegnato le 10mila firme necessarie per la candidatura della bicicletta al premio Nobel. Che ovviamente non sarà dato alla bici ma, se mai sarà, verrà assegnato alle ragazze della nazionale femminile afghana di ciclismo. Loro sono state la scintilla e le protagoniste di una rivoluzione che vuole abbattere un tabù. Maltrattate, picchiate, minacciate e prese a sassate ma non hanno mai smesso di pedalare e oggi si allenano scortate dai compagni di della nazionale maschile. Però sono state contagiose e oggi le donne hanno cominciato a pedalare in diverse zone del Paese, utilizzando la bici non solo per sfidare la tradizione ma anche per andare a scuola e spostarsi tra i villaggi. Così in Afghanistan, così in tanti altri Pesi del mondo e così in Uganda, dove una donna in bici può fare la differenza. «La prossima sfida che mi vedrà attraversare 48 stati degli Stati Uniti in 48 giorni servirà proprio a questo- aveva raccontato Paola Gianotti prima di partire per la sua “Bike-the-Nobel“- raccogliere i fondi per donare 48 biciclette alle donne che vivono nei villaggi in Uganda. Da quelle parti avere una bici con cui muoversi e spostarsi è una conquista che può cambiare la vita…». Altro che mimose.