Triathlon, quando il “full” è un po’ da folli
Molti dicono che l’Ironman o il Challenge su distanza completa come quello he si correrà tra un paio di settimane per la prima volta a Venezia, sia una moda. Però sono in tanti, sempre di più, quelli che s’infilano in questo tunnel che, nel bene o nel male, la vita un po’ te la cambia, soprattutto nei mesi precedenti quando ci si deve allenare per prepararlo. Perchè è chiaro che bisogna prepararlo. Una gara così per chi non lo sa sono 3,8 chilometri a nuoto, 180 in bici e una maratona per finire. Una follia. O forse no. Comunque, da qualsiasi verso si prenda una fatica immane, innaturale, esagerata e forse anche un po’ assurda. Chi non l’ha mai fatto dice così ma forse perchè non ha mai trovato il coraggio di cucirsi addosso un pettorale così pesante. Chi invece a quel traguardo c’è arrivato, con qualsiasi tempo, è come se fosse entrato in un’altra dimensione, al di là dei tatuaggi, delle facili ironie, dei miti che lasciano il tempo che trovano. Ci sono in giro “uomini d’acciaio” che mai diresti. Che hanno fisici da impiegati e neppure troppo allenati, buoni a prima vista forse solo per una partitina di tennis la domenica mattina con i colleghi. Ma un triathlon su distanza completa, “full” dicono quelli più convinti, non è solo un fatto fisico. E’ qualcosa che ti scatta dentro. C’è un “X factor” anche qui ed è una variabile che va al di là del nuoto, della bici o della corsa. E la testa che muove il corpo. E’ la testa che ti permette di arrivare dove spesso neppure si immagina. E’ la testa che comanda. Sempre. Così se nella mente di uno che nuota,corre e pedala parte l’ordine di provarci metà del lavoro è già fatto. Il resto è ciò che un buon triatleta già sa. Sono allenamenti e fatica ma se l’obbiettivo è fissato tutto diventa più semplice. Daniel Fontana che di Ironman ne ha fatti e su questa distanza ha anche vinto, ripete spesso che questa gara è un “romanzo”. Una storia tutta da scrivere e ogni volta diversa, senza certezze e senza un finale scontato. Una storia quasi infinita che ognuno si costruisce e decide di affrontare con il suo livello di preparazione e con le sue motivazioni e dove, al di là del cronometro, degli avversari, delle classifiche i conti si fanno solo con se stessi. Da Venezia a Nizza, a Klagenfurt ma anche a Kona al via ci sono tanti campioni capaci di prestazioni pazzesche, costruite con allenamenti studiati a tavolino, tecniche e materiali sempre più sofisticati che li fanno assomigliare a “macchine umane” perfette e programmabili. Ma al via c’è anche tanta gente normale con la sola voglia di mettersi alla prova, con un sogno nel cassetto, con lo sfizio di una vita, con la curiosità di capire fino a che punto si può arrivare. Che si tuffano senza la smania di voler dimostrare niente a nessuno. Una moda? Può darsi. Ma per provarci comunque ci vuol coraggio. E un pizzico di follia…