Doping, Rosa assolto in Kenia
Lo sapeva già Federico Rosa come sarebbe andata a finire. Lo ha sempre saputo. Ma la ferita resta. Restano gli sguardi di chi in tutti questi mesi non gli ha creduto, gli ha consigliato di non partecipare alle conferenze stampa di presentazione delle maratone internazionali, lo ha messo all’angolo. Ma arriva sempre il momento di un riscatto. Le accuse di doping, di aver favorito le pratiche dopanti dei suoi maratoneti non ci sono più. Svanite. La magistratura kenyana ha infatti ritirato tutte le accuse nei suoi confronti e chi doveva presentarsi in aula per testimoniare non si è neppure fatto vedere. Una storia lunga e tribolata con un lieto fine che però lascia ferite profonde. Una storia che ha visto il manager che ha portato i suoi atleti a vincere olimpiadi e le maratone più importanti nel mondo, finire anche in carcere per ben tre volte. “Ogni accusa è stata ritirata”, ha annunciato il magistrato principale di Nairobi Bernard Ochoi ancor prima che iniziasse un processo che, come sosteneva da sempre James Nyiha, l’avvocato kenyano di della difesa “Non aveva nessun senso visto che il mio cliente non avrebbe dovuto nemmeno essere accusato perchè lo Stato non aveva un briciolo di prova contro di lui”. Rosa che in Kenya lavora da sempre e che in quel paese con la Rosa &Associati ha anche realizzato una scuola e presidi medici, era stato messo sotto inchiesta dopo le accuse di due ex suoi atleti tra cui Rita Jeptoo, tra le più affermate maratonete, attualmente squalificata per doping. Testimonianze che però non hanno trovato conferme e che hanno quindi convinto i giudici keniani a fare retromarcia. A complicare le cose il clima da caccia alle streghe dopo che la Federazione keniana è finita nel mirino delle autorità internzaionali per pesanti sospetti di doping dei suoi sportivi, specie dell’atletica leggera. «Dopo cinque mesi di sofferenza è finalmente arrivata l’assoluzione per mio figlio Federico- racconta Gabriele Rosa– La polizia non aveva prove e il giudice di Nairobi ha disposto l’assoluzione con formula piena. Però è stato un periodo difficilissimo. Non si poteva reagire alle false accuse, bisognava tacere, su consiglio dei difensori, secondo i quali questa era la miglior linea d’azione per non irritare tribunale e polizia. Qui funziona così. La polizia ha fatto indagini e non ha trovato niente. Eravamo certi di questo ma fino alla sentenza di oggi c’è stata tanta preoccupazione. Il doping in Kenia? Esiste, ma io e mio figlio continueremo a lavorare qui».