In bici si muore, chissenefrega dei numeri
Dice bene Vincenzo Nibali in un tweet: “Minchia la volete capire che siamo la parte debole…”. In bici si muore e il resto sono chiacchiere. Anche i numeri sono chiacchiere: un morto ogni 35, 45 minuti. Chissenefrega delle statistiche. La realtà è che esci in bici su una statale, su una provinciale, su un viottolo di campagna dove sfrecciano furgoni e trattori e ti fai il segno della croce. Oggi va bene, domani anche, dopodomani magari chissà. Come Scarponi, come Froome, come Hayden che loro fanno notizia. POi ci sono tanti signori qualunque che vengono spazzati via ogni giorno e che non si fila nessuno. Fanno statistica? E chissenefrega. Ciò che importa è che chi va in bici rischia la pelle. Al di là di tutte le chiacchiere, di tutti i distinguo, di tutte le precisazioni di chi sfreccia a motori e ogni volta, in un’inutile litania, si ostina a spiegare a puntualizzare che è colpa loro (nostra) dei ciclisti che viaggiano appaiati, che non si fermano agli incroci, che bruciano i rossi etcetera, etcetera. Poi però loro non restano a terra sull’asfalto ben protetti su camion, furgoni, gipponi, macchinoni. Loro le lenzuola se le rimboccano la sera prima di addormentarsi, non gliele mettono in testa. Al massimo raccolgono il telefonino sul pavimento dell’auto perchè magari stavano chattando e non si cono accorti che c’era un ciclista in traiettoria. Non si sono accorti di un gruppo. Non servono norme, regole, distanze, ciclabili. Serve un passo indietro. Serve cultura. Serve pazienza. Serve rispetto della vita. Serve recuperare il giusto buonsenso, capire che chi gira in bici sulle stesse strade dove passano le auto rischia la pelle. E se la perde quella vita non la trova più. Vale per tutti. Padri, madri, figli, famiglie. Che poi non è che se uno ammazza un ciclista il giorno dopo va a giocare a calcetto con gli amici come se nulla fosse accaduto. Con la vita non si scherza, non si gioca, non si fanno ripicche. Serve recuperare la misura delle cose, dimenticare guerre e vendette, gli insulti, le minacce, le porcherie scritte sui social per salutare la morte di un “nemico” che poi nemico perche?. Non c’è il bar sport della vita. Non esiste. Non si sta parlando di un rigore negato o di un gol in fuorigioco. Non ci sono nè cori, nè olè. Non si scherza più. E chissenefrega dei numeri…