Domani comincia la Vuelta. E  anche se Aru, Nibali, Froome e compagni partono da Nimes in Francia,  la Vuelta è il Giro di Spagna che  in questa 72ma edizione ha ovviamente un significato diverso.  Pedalare servirà a molte cose.  Una sembra banale ma è diventata banale purtroppo perchè quello di Barcellona è solo l’ultimo di una serie di attentati con siamo stati costretti a fare i conti e a cui ci stiamo drammaticamente (forse) abituando. Così si dice e si continua a ripetere  che bisogna continuare a fare le cose di sempre. Anche a pedalare. Una normalità che va difesa e conquistata giorno per giorno, con tutte le forze, con i denti. E la Vuelta di domani vale questo.  Vale una normalità che normale non è perchè è  ormai  conviviamo con  piazze blindate, partite blindate, corse blindate. Con controlli, barriere, new jersey messi agli ingressi delle zone pedonali. Conviviamo con la paura che anche lo sport possa diventare l’obbiettivo di una guerra senza regole di ingaggio. Di una guerra reale, vera che non si combatte con i “je suis…”. Non bastano.  Però Aru, Nibali e Froome da domani pedaleranno sulle strade della Spagna proprio per spiegare a tutti che lo show continua, pardon che la vita continua. E non saranno soli.  Saranno 22 squadre, saranno duecento corridori, saranno direttori sportivi, saranno meccanici, saranno medici, saranno massaggiatori e saranno tifosi.  Saranno 3297 chilometri  con il verbo essere al futuro. Che un senso ce l’ha…