Videogiochi olimpici? Lo sport è un’altra cosa
La notizia non è nuova: il Comitato Olimpico Internazionale ha deciso di aggiungere 5 sport alle discipline olimpiche di Tokyo 2020. I membri del Cio hanno approvato infatti all’unanimità l’introduzione dello skate, del surf, del karate, dell’arrampicata sportiva e del baseball (softball per le donne) per la sola edizione giapponese. Va così. Le olimpiadi sono un enorme contenitore sperimentale e un’enorme vetrina che fa gola a federazioni e sponsor e il presidente del Cio Thomas Bach ripete, ogniqualvolta può, che l’introduzione delle nuove discipline ha l’obiettivo principale di avvicinare alle Olimpiadi anche i più giovani. Sarà, ma la logica delle scelte che stanno alla base delle “new entry” olimpiche credo siano perlopiù economiche. E in questa direzione si va. Il Comitato Olimpico internazionale a Losanna per la prima volta ha discusso infatti nei giorni scorsi di e-sport e, sempre per la prima volta, ha aperto alla possibilità che i videogame diventino discipline olimpiche. Ma cos’è un e-sport? In buona sostanza è lo sport di giocare ai videogame. Da soli o in gruppo, con squadre che si allenano insieme e si affrontano in tornei. E ci sono tornei dei maggiori giochi in circolazione: Fifa per gli amanti del calcio, Call of Duty per gli amanti dei giochi di guerra, o giochi di strategia magari meno noti al grande pubblico ma molto apprezzati nel settore come il fantasy Warcraft. Per essere un bravo gamer bisogna allenarsi, anche 10-15 ore al giorno, aveva rivelato un’inchiesta del Guardian pochi mesi fa. Servono strategia e resistenza perchè le partite possono durare anche 6-12 ore. Le squadre sono composte da ragazzi che in media hanno dai 15 ai 25 anni e negli Usa, giocare agli e-sport è diventato un lavoro. Un lavoro vero, e ben pagato. Un caso oramai simbolo uomo è quello di Peter «ppd» Dager, americano di 25 anni che a colpi di tornei vinti ha incassato premi di 2,6 milioni di dollari. Ha da due anni abbandonato l’attività da giocatore per ricoprire un ruolo di dirigente in una altra squadra di e-sport: Evil Geniuses. I soldi non mancano. Questi tornei soprattutto negli Usa e in Asia sono diventati un business capace di generare nel 2016 un giro d’affari di 463 milioni. Quest’anno la previsione è di 696 milioni (+41,3%). E per il 2020, secondo il report annuale di Newzoo che è la mappa più autorevole dei numeri degli e-sport, la previsione è di 1,5 miliardi. E non mancano nemmeno i fan, che seguono giocatori o squadre specifiche. Disposti a pagare biglietti da centinaia di dollari per vedere gli incontri e spendere in media ogni anno in merchandising e biglietti 64 milioni. Celebri le notti alla Key Arena di Seattle, dove si tiene ogni anno The International: il più grosso evento mondiale di e-sports, capace di raccogliere 20mila fan e premiare le squadre vincitrici con un monte premio pari a 24 milioni di dollari. Non mancano doping e scommesse e non mancano gli sponsor, con i loro nomi sulle casacche delle squadre nei tornei: nel 2016 solo alcuni dei maggiori come Intel, Samsung, MasterCard e Coca Cola hanno speso circa 320 milioni per finanziare le squadre. I media 95 milioni per prendersi i diritti per la trasmissione delle partite. E 155milioni sono arrivati dalle pubblicità. Un bel business. Che potrebbe diventare “olimpico” e si capisce anche il perchè. Ma lo sport è un’altra cosa.