New York, maratona italiana
La maratona di New York è tra le prime cinque maratone italiane. Parlano i numeri. Dopo gli americani siamo la nazione più rappresentata, tremila italiani al via sono un tesoretto che le tante 42 chilometri che si corrono sulle nostre strade nemmeno si sognano. Ed è tutto dire. Quasi una contraddizione scoprire che, in un Paese che lamenta crisi, disoccupazione, piccoli e grandi conflitti sociali. sono in tanti, tantissimi che si possono permettere un investimento di diverse migliaia di euro per correre la gara dei sogni. E, al di la della facile retorica, è un bel segnale di ottimismo. Forse di ripresa che tutti annunciano e qui c’è davvero perchè, siamo sì un Paese di santi e navigatori, ma ora sempre più anche di maratoneti pronti a mettere mano al portafogli e a far sacrifici per togliersi lo “sfizio” . Ma la maratona di New York non fa testo perchè , per chi ha la passione della corsa che scorre sottopelle, vale tutti i sacrifici del mondo. Almeno una volta nella vita New York va corsa. Perchè sarà anche commerciale, sarà che non venirci per qualcuno ( pochi) può anche essere snob, ma resta un’ esperienza indimenticabile che vale per sempre. Puoi correrla cento volte la maratona di New York ma ogni volta ti resta addosso. Nel cuore e sulla pelle. Ogni volta è un’emozione nuova, diversa, intensa come solo questa maratona può regalare. Certo, Boston è la storia, Berlino più veloce, Londra più aristocratica e forse un po’ più chic ma correre qui tra due ali di folla che non si interrompono mai da Staten Island a Central park non ha prezzo. Sei nella scena, ti senti il protagonista di un film. Campione anche se arranchi dopo le 4 ore. Ma volano via. Vola via anche il freddo, la pioggia, le cinque sei ore di attesa sul prato di una base militare ad aspettare l’onda per partire. New York è l’emozione di una cannonata che ti trapassa il cuore, che ti porta a correre su un ponte che traballa perchè 50 mila sono tanti. Più di ciò che si pensa o si crede scrivendolo o raccontandolo. New York è la folla che ti applaude dall’inizio alla fine, la gente che balla, mamme, figlie, nonni, sudamericani, cinesi, tutte le etnie possibili perchè la globalizzazione qui non è solo un modo di dire. Sono i vigili del fuoco che si fermano ad incitare, i poliziotti con le medaglie delle passate maratone al collo che ti danno il cinque, i taxi ai lati della strada, quelli con le Harley e i giubbotti in pelle che bevono birra e fanno la faccia truce ma è tutta una recita, la musica, i profumi dei baracchini degli hot dog, i brown block che una volta erano popolari e oggi sono diventati chic. New York è l’emozione di scendere dal Queensborough bridge, la prima e la quinta strada con i su è giù che finiscono mai, Central Park e le ultime tre miglia senza un metro di piano, l’arrivo, la gioia e per qualcuno le lacrime. Poi tutti in coda. Stanchi, sfiniti, felici, ubriachi di fatica e di gioia per tutto ciò che si riporterà a casa custodito nella mente per mesi e forse anni. Chi c’è stato non dimentica più, chi ritorna scopre che ogni volta c’è un nuovo romanzo da scrivere. E non c’è mai una fine….