Sfida i ghiacci gli amputano mani e piedi: qual è il limite?
“Lasciami la vita…Prenditi mani e piedi ma lasciami la vita…” questo era il patto con Dio. Roberto Zanda, “Massiccione” per gli amici lunedì mattina entrerà nella sala operatoria dell’ospedale di Aosta e verrà amputato. Le sue mani e i suoi piedi congelati dopo 14 ore di tormento nel ghiaccio della Yucon Artic Ultra in Canada non si sono risvegliati. Non sono servite la terapia iperbarica e le più avanzate tecniche di vascolarizzazione. Non è servito nulla. Tornerà a vivere con delle protesi, con mani e piedi bionici che un’azienda sta mettendo a punto e che sono l’ultimo ritrovato di tecnologia in fatto di autosufficienza. Sarà un nuova vita che per l’ironman sardo, ex parà della Folgore, comincerà a sessant’anni ma sarà comunque la sua vita. Punto. Vietato commentare. Vietato chiedersi perchè o chi glielo abbia fatto fare perchè, anche se non sempre si riesce a capire, ognuno ha il suo di perchè. Sembra di rivivere la tragedia di qualche mese fa sul Nanga Parbat. Là c’era una vita che si salvava, e un’altra che lentamente si spegneva. Elisabeth Revol, 37 anni francese è tornata a casa alla fine di una delle operazioni di salvataggio più incredibili dell’alpinismo, Tomek Mackiewicz, 46 anni polacco, è rimasto lassù sui ghiacci dove era riuscito ad arrivare. Fine. Fine di un’ossessione che ha sicuramente un perchè ma non trova risposte. Perchè Zanda, Mackiewicz , tanti altri prima di loro e tanti latri che verranno dopo cosa cercano? Chi glielo fa fare? Sono egoisti, imprudenti, folli, incoscienti, rischiano troppo? Inutile chiederselo perchè ognuno nella vita ha i suoi sogni e il diritto di andare a prenderseli almeno che non decida di sopravvivere imbalsamato rassegnandosi al proprio destino. E’ la potenza di un sogno che può far paura ma anche tanta invidia perchè alla fine vive davvero solo chi è capace di sognare. Non esistono giudizi, pregiudizi, non vale niente. E il senso di una vita che ognuno vive sfidandola, sfidandosi e mettendosi alla prova. Senza avere rimpianti. Torno a citare Davide Carrera, uno dei protagonisti della Nuite de la Glisse, il film di Thierry Donard, che racconta magistralmente la vita e le imprese di un gruppo di atleti estremi: “Ciò che facciamo sulle vette o tra le onde dell’Oceano ci riempie i sensi- raccontava sul palco del Multisala di Desio alla prima italiana – Deve essere così per cogliere ogni secondo della nostra esistenza. Paura di morire? Sì c’è sempre ma c’è anche la convinzione che potrebbe accadere mentre stiamo rincorrendo un sogno. Che è il modo migliore di restar vivi…”