Maratoneta crolla, quando ci si deve fermare?
[youtube W2Kktke-xsQ]
“Per me lo sport e’ sempre stato ricerca del massimo risultato personale nel rispetto di se stessi e del proprio corpo” scrive Stefano Baldini sul suo profilo Instagram commentando il video del maratoneta scozzese Callum Hawkins ai Giochi del Commonwealth della Gold Coast, in Australia che al 40 chilometro quando era al comando della gara improvvisamente stramazza a terra andando a sbattere con la testa contro una barriera senza che ci sia nessuno a dargli una mano ma soprattutto senza che ci sia nessuno a fermarlo tra i tecnici che lo seguono. ” Ringrazio chi mi è stato vicino per avermi insegnato il momento in cui fermarmi- continua il campione olimpico di Atene- perché stai oltrepassando quel limite…”. Non è la prima e non sarà l’ultima. E’ un vecchio dibattito sul senso dello sport che oltre certi limiti forse un po’ lo perde. In una maratona, in una granfondo, durante un ironman mollare si può? A volte si deve. Certo, poi uno pensa a Dorando Pietri che arriva al traguardo barcollando, cadendo e rialzandosi e scrive la storia del’atletica e qualche dubbio gli viene. Oppure pensa a John Stephen Akhwari, il tanzaniano che chiude la maratona olimpica a Città del Messico nel 68 all’ultimo posto con un ginocchio rotto e a chi gli chiede perchè non si è ritirato risponde senza indugio: “Perchè il mio Paese non se lo merita, non mi ha mandato qui a 5mila chilometri per ritirarmi…”. Storie, anzi storia. Figure leggendarie che con la loro perseveranza con la loro tenacia hanno difeso il valore dello sport e scritto pagine che infatti sono rimaste. Due esempi e ce ne sono tanti altri, un elenco lunghissimo. Ma vale per tutti? Vale sempre. Forse no. Forse è prioprio come dice Stefano Baldini, esiste un moneto oltre il quel un atleta non deve andare. Perchè è come il motore di un’auto che “batte in testa”, quello è il segnale che è arrivato il momento di mettere la freccia e accostare. E se, nella trance agonistica quel segnale non arriva da un cervello che in quel momento non è in grado di discernere, ci deve essere chi schiacci al tuo posto un interruttore che chiuda la partita. Per evitare che possa accadere il peggio. Il dibattito tra chi sostiene che non si debba mollare mai, che anche sui gomiti l’importante sia arrivare e quelli che invece fissano un limite alla dignità del gesto atletico e alla sofferenza oltre il quale lo sport diventa un’ostinazione patetica non finirà mai. Ma non è detto che ci voglia più coraggio a trascinarsi oltre il limite che a “mollare”, ad ammettere la sconfitta che non è un disonore. Eroi sono è anche coloro che sanno fermarsi.