l’Ironman a Kona, il mondiale in una stretta di mano
Tutto in una notte per chi alle Hawaii non c’era. Tutto in una notte “appiccicati” alla pagina Facebook che trasmette in diretta la quarantesima finale del mondiale Ironman a Kona. Tutti e tantissimi: 56mila, 6omila,, 65mila fino alla fine, fino all’arrivo dei primi, dei secondi, dei fenomeni e poi di quelli normali. L’ironman di Kona è tante cose insieme, fatica ed emozioni comprese. Sono le immagini delle Hawaii dove tutto è cominciato e dove ogni anno si ripete questo rito che è diventato il sogno di tanti e il business di chi ha saputo costruire un evento che ormai muove folle e milioni. Sono le panoramiche regalate dal volo dei droni che raccontano di un mare azzurro e di una terra che, laddove si corre e si pedala, diventa scura, bruciata dal calore di un vulcano che sta nel mezzo e , a chi deve gareggiare, spesso cambia le carte in tavola. Sono sirene, spari, file indiane di campioni in mare che si allungano facendo rotta sulle boe e poi diventano la tonnara di un popolo che qui fa la gara della vita. Sono i tifosi, i parenti, gli amici rassegnati ad un pomeriggio di attese, di ansie e speranze. Sono bici del futuro (spesso brutte), i caschi del futuro (spesso belli), sono scarpe, body, mozzi, pedivelle e corone “deformi” capaci di tradurre ogni movimento in una somma di watt. Sono gel, borracce, barrette, sali tutto ciò che serve a sostenere una fatica infinita, ad ingannare il caldo, il piccolo “inferno” dell’Energy lab, l’umidità che moltiplica i chilometri della maratona. Sono i colori sbiaditi della volata tra Dave Scott e Mark Allen, i due più grandi, quelli che qui hanno vinto più di tutti, che hanno scritto la storia quando ancora la “febbre” non era alta come in questi anni e che la regia fa vedere rivedere. Sono i numeri che raddoppiano. Due per il “bis” di Patrick Lange che arriva al traguardo prima di tutti in 7 ore 52 minuti e 39 secondi superando a una quindicina di miglia dall’arrivo l’australiano Cameron Wurf che in bici, da ottimo cronoman qual era quando correva Giro e Vuelta, mette in fila tutti. Quattro per il poker di Daniela Ryf che in 8 ore 26 minuti e 18 secondi “piega” la resistenza di una elegantissima Lucy Charles riacciuffata in bici a poche miglia dalla zona cambio. Sono i “nostri”, 33 in tutto con gli age group. Sono il record italiano di Giulio Molinari che si piazza ventesimo e che firma la miglior prestazione azzurra di sempre in 8 ore 21. Sono i cerotti e le ferite di Alessandro Degasperi che lotta, ci prova ma non gira… Sono le facce di tutti gli altri. La fatica, il tormento, la gioia e la convinzione di essere nel posto giusto per vivere l’avventura sportiva di una vita, di quelle che ti restano dentro e si raccontano. Sono i gesti di uno sport dove ognuno (sempre) alla fine fa i conti con se stesso, con la sua tenacia e le sue gambe. Sono la bellezza di uno sport dove, anche se ci si gioca un mondiale, si corre spalla a spalla, ci si guarda negli occhi e prima di allungare ci si dà il cinque pugno contro pugno. Così Patrick e così Cameron. Vince il migliore ma un po’ vincono tutti e due…