L’uomo di ghiaccio che corre a 52 sottozero
La paura c’era. “Perchè a certe latitudini e a meno 50 gradi se perdi un guanto rischi anche di perdere la mano…” Ma c’erano anche tante altre cose nell’impresa che Paolo Venturini, cinquantenne sovrintendente della Polizia di Stato e atleta del Gruppo Sportivo Fiamme Oro, ha portato a termine nell’angolo più freddo del mondo. Ha buttato il cuore oltre l’ostacolo. Tre ore, 54 minuti e 10 secondi per correre 39 chilometri e i 120 metri che separano Tomtor da Oymyakon in Russia dove stamattina c’erano 52 gradi sottozero, con punte di 52. Viene difficile anche immaginare cosa significhi un freddo del genere e soprattutto viene difficile anche solo intuire cosa significhi correre, respirare, mette un piede davanti all’altro sulla distanza di una maratona, solo qualche chilometro meno. Ma c’è sempre qualcuno capace di sorprendere, in grado di fare ciò che mai nessun uomo è stato capace di fare. Si va dove nessuno osa, dove la vita è sottozero, dove l’impresa diventa anche studio e sperimentazione. L’atleta della Polizia è stato accompagnato da due medici del dipartimento di Medicina dello Sport dell’Università di Padova e da alcuni esperti in medicina del freddo dell’Università di Yakutsk. L’attività sportiva in condizioni climatiche estreme offre la possibilità di testare le reazioni del corpo umano, aprendo nuovi spazi per la ricerca scientifica. E Venturini ha corso e ha fatto anche un po’ da cavia. Si è cercato di capire quali siano le difficoltà del respirare a queste temperature, cosa provochi l’aria così fredda nel corpo umano, come ci si può proteggere dal congelamento delle prime vie respiratorie, dai problemi ai denti ed agli alveoli polmonari. Si è anche sperimentato un abbigliamento tecnico da running capace di resistere al freddo così estremo. E allora i conti di questa impresa tornano. C’era la paura, c’era la voglia di mettersi in discussione, quella di conoscere fin dove si poteva arrivare, c’era il giusto protagonismo di un atleta che voleva stupire ma c’era anche la necessità di provare a capire come una sfida, in apparenza senza senso, potesse diventare utile a molti se non a tutti. E così alzare l’asticella a livelli estremi davvero ha un senso.