Giro a Carapaz, la biciclettina non c’è più…
La storia della prima biciclettina presa dalla discarica un po’ ha già stufato. Richard Carapaz entra nell’Arena di Verona da conquistatore del Giro numero 102 e si abbraccia piangendo il gioiello da crono su cui pedala adesso, il resto conta poco e nulla. Hic et nunc…Qui e ora. La storia è adesso e Carapaz la scrive perchè è stato il più forte, magari non il favorito, ma sicuramente non uno sconosciuto visto che da dilettante tre anni fa aveva già vinto la Vuelta a Navarra e da professionista si era piazzato quarto nella Vuelta a Castillo y Leon e l’anno scorso aveva dominato la tappa di Montevergine al Giro, una delle più toste. Certo la storia della biciclettina è bella da raccontare come è bella l’immagine di un Paese che da qualche giorno chiude negozi ed uffici per vedere le tappe del Giro e del suo eroe. Un Paese che applaude e che forse non riesce a ancora crederci perchè da quelle parti il ciclismo è sport seguitissimo e perchè l’Ecuador, se si escludono il tennista Andres Gomez che nel ’90 a sorpresa vinse il Roland Garros battendo in finale Agassi e il marciatore Jefferson Perez medaglia d’oro (l’unica) nella marcia alle olimpiadi di Atlanta nel ’96, non è troppo abituato a trionfare. Questo di Carapaz invece è un trionfo vero, da pelle d’oca, da lucciconi agli occhi per tanti in una Arena piena e meravigliosa come giusto che sia per tributare il meritato applauso a lui ma anche a tutti gli altri, a Nibali, a Roglic a Landa, al gruppo e a tutti quelli che sono arrivati fino alla fine. Il ciclismo così emoziona. Non finisce e non finirà mai di emozionare perchè è impresa, tecnica, tecnologia, fatica e sono campioni che sbocciano e che si confermano senza troppa “moina”. Sono storie che si raccontano, vittorie e sconfitte, spettatori che incitano, soffrono, spingono e qualche volta vengono anche presi a schiaffoni perchè esagerano. Sono immagini di telecronisti, di ospiti e di corridori che diventano di famiglia perchè in tre settimane uno poi si abitua a stare insieme, si abitua alle voci, si abitua al fatto che il Giro c’è…. Sono immagini di corsa e di luoghi bellissimi perchè l’Italia è una meravigla e ci vorrebbero una decina di Giri l’anno per mostrarla tutta. E sono immagini bellissme quelle trasmesse dalla Rai che ci hanno tenuto compagnia in pomeriggi infiniti che ora sarà dura riempire. Sono figure “visionarie” affascinanti quella raccontate da Fabio Genovesi che è volato alto e alto ha fatto volare anche questo Giro con storie romantiche e popolari, dai serpenti di Cocullo alle leggende sui diavoli di Bolzano, al gruppo raccontato come un sciame che segue l’ape regina in maglia rosa…Il Giro è finito quindi viva il Giro. Con tante strette di mano tra atleti leali, con gli arriverderci al Tour e con gli abbracci tra amici e nemici. Uno su tutti quello di Vincenzo Nibali a Carapaz due giorni fa sul Monte Avena dove è finito il Giro che ricorda tanto quello di qualche anno fa tra lo squalo e il padre di Esteban Chavez battuto sull’ultima salita. Capita anche negli altri sport che chi perde renda onore al vincitore ma nel ciclismo capita di più. E’ un fatto di rispetto, forse (a dirla grossa) di valori. Saranno le radici antiche di uno sport che è rimasto popolare, sarà che qui tutti sanno che fatica si fa, sarà chi ha vinto il Giro quest’anno viene dal sud del mondo e ha cominciato a pedalare con una biciclettina che il padre gli ha recuperato in un discarica.Che è una storia che ha già stufato, però qualcosa vorrà pur dire…