Tre donne “estremamente” normali…
Vivere con tutti i sensi, cogliere l’essenza di ogni attimo, assaporando un’avventura che sembra non avere limiti e che invece ne ha uno preciso, estremo, da raggiungere ma da non oltrepassare. Vivere ad alta intensità nel mare, su un’onda, in montagna, su una bici, correndo a volte in luoghi difficili e inospitali, in deserti, fiordi, nel bianco di un ghiacciaio che si sbriciola. Lo sport si fa estremo e sono sempre di più gli atleti, ma anche le persone che non lo fanno di mestiere, che decidono di alzare l’asticella. E l’estate diventa la stagione migliore. E allora si parte. Ognuno con la propria sfida, con il proprio sogno o la propria missione che spesso è solidale, spesso serve ad aiutare altri meno fortunati. Tre donne che fanno sport diversi ma che vanno nella stessa direzaione. Tre donne che a prima vista sembrano ironwoman ed invece sono “estremamente” normali.
E’ così per Sabrina Schillaci, 49 anni, architetto di Besana Brianza che ha cominciato ad andare in bici dopo un incidente che ha costretto il marito su una sedia a rotelle. «Ero caduta in depressione – racconta – e con lo sport sono riuscita a venir fuori da un tunnel». La bici l’ha aiutata. Lo scorso anno pedalando è andata fino a Santiago de Compostela e pochi giorni fa è ripartita. Da Besana Brianza fino a Monopoli e ritorno. «Race across limits», una pedalata infinita per attraversare l’Italia in 23 tappe per più di 3200 chilometri. Dal Tirreno all’Adriatico per un’avventura che è quasi un segno del destino, che servirà a scacciare antiche paure e a raccogliere fondi per C.O.ME Collaboration onlus, un gruppo di osteopati abruzzesi che aiuta i bambini con disabilità: «Non è un’impresa sportiva – spiega subito – Non mi interessa. Io pedalerò solo per raccogliere fondi per una causa in cui credo, per sensibilizzare la gente sul tema della disabilità e per spiegare a tutti che anche dopo una disgrazia, dopo un incidente che ti cambia la vita ci si può rialzare. Basta crederci…».
Credere e pedalare. Oppure correre. Vale lo stesso. Vale per Ivana Di Martino mamma milanese, insegnante, runner instancabile che a settembre correrà da sola, senza mai fermarsi, dalle Dolomiti alle Alpi, da Cortina al Passo dello Stelvio per raccogliere fondi da donare alla ricerca contro i tumori. Correrà la «Run Everesting» perché su quella distanza supererà un dislivello di 8mila 848 metri lo stessa altitudine dell’Everest. E lo farà per sconfiggere le paure, perché lei stessa in passato ha sconfitto un tumore e ora vuole sensibilizzare l’opinione pubblica su questo tema. Ne ha già finite parecchie di sfide così. Nel 2013 con la «21 volte donna» ha corso 21 mezze maratone in 21 giorni in giro per l’Italia per sostenere un’associazione che si occupa della violenza contro le donne. Due anni dopo con la «Rexist Run» ha percorso ben 700 km in 8 giorni per sostenere Dynamo Camp e con la «Run4Kids» nel 2016, ha percorso ben 900 chilometri, da Milano a Bruxelles, per consegnare un messaggio alla Commissione Europea per Banco Alimentare. Ed ora l’impresa è la «Run Everesting» per sostenere Fondazione Umberto Veronesi e il progetto Pink is Good alzando l’asticella ancora un po’: «Sarò la prima italiana a provarci. L’obiettivo è promuovere la corsa in montagna e mettere ala prova i miei limiti oltre alla raccolta fondi per una buonissima causa».
E poi c’è chi l’avventura la cerca in mare. Sabrina Peron, 54 anni, avvocato milanese, tra un’udienza e l’altra nuota. «Perché quando sono in acqua ho tempo per pensare, sono sola e il silenzio mi ripulisce la mente. Così metto tutto in ordine e preparo anche qualche difesa». È un avvocato civilista con laurea anche in filosofia che si occupa di diffamazione a mezzo stampa e di risarcimenti del danno. Ma quando non indossa la toga è spesso in costume e occhialini a macinare chilometri. Nuota all’alba nelle vasche della Canottieri Milano ma appena può prende il largo, perché la vera passione sono le lunghe distanze: tre anni fa è stata la prima italiana ad attraversare lo stretto di Catalina, la bellezza di 33 chilometri che separano l’isola da Los Angeles. Prima era toccato a quello di Gibilterra, a quello Messina e alla traversata del Bosforo. Due anni fa con l’atleta paralimpico vicentino Enrico Giacomin, ha coperto a nuoto quasi 23 chilometri dall’isola di Vulcano a Milazzo e all’inizio dell’estate i 53 chilometri da sul Po che portano da Cremona a Casalmaggiore. L’anno scorso è stata la prima italiana ad essere passata a nuoto sotto i venti ponti di Manhattan, 46 chilometri che fanno il giro delle acque di New York e pochi giorni fa in Galizia ha nuotato per 27 chilometri di mare tra le Isole Cíes e l’Isola di San Simón nel «Batalla de rande», la traversata che ha visto al via un centinaio di coraggiosi tra cui lei, prima donna italiana ad aver mai osato tanto. «Quando siamo entrati nell’Atlantico con la sua marea – racconta – la corrente è diventata favorevole ma siamo stati travolti da onde pazzesche. Eravamo sballottati da una parte all’altra. Perché lo faccio? Sinceramente me lo chiedo anche io e quando mi trovo in mezzo al mare spesso penso Ma io che ci faccio qui?».