Scarponi a De Marchi: “In bici si muore: professionisti fermatevi…”
“Caro Alessandro, vorrei fare alcune riflessioni con te. Innanzitutto ti abbraccio forte come non mai perché sei vivo e sei qui…”. Inizia così una lunga lettera aperta di Marco Scarponi, fratello di Michele ucciso nel 2017 dal conducente di un furgone, ad Alessandro De Marchi (nella foto) , ciclista del Team Ccc che nei giorni scorsi ha raccontato sui suoi social di essere scampato alla morte sotto un’automobile per un soffio. “Poi ti abbraccio ancora per avere raccontato quello che ti è successo e per il modo in cui l’hai raccontato. Da quando è nata la Fondazione Michele Scarponi non abbiamo passato un giorno senza ricevere notizie simili al tuo sfogo o peggio ancora. Come ben sai muore in Italia un ciclista ogni 30 ore. Ogni 30 ore vuol dire che non c’è tregua, che non si respira, che non si può più sognare niente. Che pedali sulla soglia della fine. Per quale motivo ti alleni in bici su queste strade quando non viene garantita la sicurezza minima?” Da qui la proposta: “Perché non vi fermate tutti, tu e tuoi colleghi professionisti? Ma chi soprattutto, oltre la pagina Facebook personale di ognuno di noi, deve denunciare questa violenza quotidiana e proteggere i ciclisti sportivi come te?La Federazione Ciclistica Italiana, caro Alessandro, cosa fa? Perché nessuno nel palazzo alza la voce? A parte Davide Cassani che ci mette tutto se stesso, io vedo il vuoto. Ascolto il vuoto. Un vuoto arredato da pubblicità di auto ovunque, soprattutto alle vostre competizioni. Zero prevenzione. Zero educazione. Nessun progetto degno di questo nome. Nessuna volontà di cambiare lo status quo. Anzi sembra che ci sia una gran voglia di distruggere, alla base, il ciclismo su strada”. “Nessuno ci sente, caro Alessandro -conclude Scarponi-, perché noi non siamo uniti e non abbiamo coscienza della gravità della situazione, se non quando ne veniamo coinvolti personalmente; e chi dovrebbe essere sul pezzo tutti i giorni, perché ne ha invece gli strumenti e la forza, ha altre cose più importanti da fare, a quanto sembra, che preoccuparsi della vita dei propri tesserati”.