Il finto fair play mette alla gogna il bimbo anti-Juve
Ipocrisia del fair play, di chi si illude che basti far indossare a un bambino la maglia della squadra avversaria e mandarlo in campo mano nella mano con i campioni per insegnargli i valori dello sport. Ipocrisia di un calcio incapace a volte (spesso) di dare l’esempio. Di un calcio che insulta, fa «buuu», minaccia, fa a botte e arriva anche a uccidere come è successo poche settimane in un agguato tra tifosi in Basilicata. Ipocrisia di uno sport che s’indigna e che alla fine mette alla gogna un ragazzino di nove anni che in realtà fa solo ciò che vede, ciò che gli insegnano,che fanno gli adulti e i suoi «eroi» in campo e fuori.
La storia è di pochi giorni fa. Domenica sera, quando allo stadio entrano in campo Napoli e Juventus, ad accompagnare le squadre come sempre ci sono anche i bambini che indossano le maglie di padroni di casa e avversari e si mettono a centrocampo per salutare il pubblico. Davanti alle telecamere, che lo inquadrano con la divisa bianconera dell’«odiata» Juve, c’è però un bimbo-mascotte che copre il simbolo dello scudetto bianconero fiero di rivendicare il tifo e una rivalità che a Napoli è sanguigna, che va oltre la logica, oltre Higuain e anche oltre a Sarri. Roba da grandi. Ma lui è in campo e quindi ne approfitta. Buonsenso vorrebbe che finisse tutto lì. Anche e perchè è già successo, durante un derby Juve-Toro, che una piccola mascotte granata che indossava la maglia bianconera mimasse alle telecamere la cresta del «gallo» Belotti.
E invece (purtroppo) la storia continua perchè a fine partita, sotto il naso del piccolo tifoso partenopeo, qualcuno mette addirittura un microfono e lui completa l’invettiva anti juventina scimmiottando ciò che fanno gli adulti con una colorita serie di insulti. Tanti anni fa sarebbe finita con una sgridata, una sculacciata o magari un ceffone. A futura memoria, a spiegargli che alla sua età andare in campo al San Paolo con Ronaldo, Dybala, Ruiz o Insigne non capita a tutti e non serve fare i fenomeni ma bisogna imparare a stare al proprio posto. Ma ormai web e social amplificano ogni respiro. Così in poche ore il video di quell’assurda «intervista» finisce in rete commentato da decine di migliaia di persone: «Come sempre accade – spiega l’avvocato della famiglia Sergio Pisani – si è scatenata una vera e propria gogna contro il piccolo e la sua famiglia con migliaia di commenti, di insulti e anche minacce. Ho chiesto l’immediata rimozione del video da parte di chiunque lo abbia pubblicato o solo condiviso perchè è assurdo che un minorenne possa subire l’invadenza di microfoni e telecamere senza il consenso dei genitori…».
Ma sono gli adulti a dare l’esempio. Nella vita e anche nello sport perchè è lì che si comincia. Nei campetti di periferia, negli spogliatoi, nelle sfide tra pulcini, allievi, juniores è tutto uno scimmiottare ciò che fanno i grandi in campo e fuori. E non sempre il circolo è virtuoso, anzi: la deriva è pessima. Non c’entrano solo il calcio, la pallavolo, il basket o chissà quale altro sport, non c’entrano solo i campioni che insultano, mandano arbitri a quel paese, barano in campo e fuoricampo. C’entrano cultura ed educazione. C’entrano genitori arroganti sugli spalti che sono ugualmente arroganti in auto, durante la coda ad uno sportello, con i professori dei loro ragazzi, al lavoro, in casa. E i figli fanno ciò che fanno loro perchè sono carte assorbenti che raccolgono il bene e il male. E’ una perversa catena di Sant’Antonio dove conta solo primeggiare, battere l’avversario, vincere e magari poi sbeffeggiare i battuti.
E allora arrivano quasi come una boccata d’ossigeno le prime dichiarazioni di Quique Setièn, neo allenatore del Barcellona che, arrivato al Nou Camp, ha spiegato al mondo qual è la sua filosofia di sport: «Bisogna dare un’importanza anche allo sforzo, all’impegno, a come si valorizzano le risorse di cui si dispone e alla verità- ha detto- Stiamo trasmettendo ai nostri figli e alle nuove generazioni l’idea che se non vinci non sei una persona valida. Stiamo creando così una tremenda quantità di falliti». Il resto sono chiacchiere. Anzi, solo ipocrisia.