Calderan nel deserto del Quarto Vuoto: “Un viaggio all’inferno”
Ha rischiato Max Calderan. Ha rischiato di non farcela, di non finire la sua incredibile attraversata che in diciannove giorni lo ha portato a percorrere quasi 1200 chilometri nel Quarto vuoto, il deserto del Rub Al Khali, la più grande distesa di sabbia al mondo nella parte più meridionale della Penisola araba. Ma anche anche rischiato la pelle perchè gli ultimi duecento chilometri di traversata sono stati davvero terribili, con il “figlio del deserto” come lo chiamano da quelle parti, che ha dovuto fare i conti con fatica, un meteo estremo con temperature altissime e sabbia bollente e la disidratazione per venire a capo di un’impresa che mai nessun uomo aveva osato neppure pensare. “È stato un viaggio all’inferno- racconta- per procedere lungo il percorso che avevo programmato ho dovuto fare molte deviazioni a causa di alcune dune impossibili da superare e ad un certo punto mi sono ritrovato uno stato di profonda allucinazione. L’ultimo tratto l’ho affrontato in totale solitudine, il mio team mi aspettava all’arrivo e persino la società saudita che gestiva logistica e sicurezza si è rifiutata di procedere a causa della pericolosità del percorso. Ho pensato di fermarmi, di arrendermi, che avesse vinto il deserto ma poi vedere in lontananza le sagome dela mia squadra è stato come vivere in un sogno. Mi sono sentito un miracolato”. Paura e felicità. A volte il confine è una linea sottilissima, un crinale pericoloso su cui ci si incammina per inseguire un’avventura, un progetto. Quasi sempre un sogno. Paura che diventa felicità quando ritrovi i volti delle persone che lavorano con te, che ti hanno sostenuto e seguito. E che ti stanno aspettando: “Quando sono arrivato erano increduli anche i poliziotti che ho incontrato alla frontiera- racconta Calderan- Ho detto loro che avevo appena concluso la traversata del Quarto Vuoto e non riuscivano a capacitarsi, a pensare che stavo camminando da più di mille chilometri in quel deserto. Subito sono arrivate altre auto della polizia e abbiamo festeggiato. Ci hanno offerto cibo e acqua, sono stati gentilissimi e alla fine abbiamo scattato una bellissima foto ricordo.” Max Calderan, nato 52 anni fa a Portogruaro vive da tempo a Dubai, conosce perfettamente l’arabo e nei deserti si fa chiamare Al Madhi. Dal punto di vista medico è una “anomalia fisiologica”: i test del Dna hanno infatti rivelato che ha livelli estremamente bassi di cortisolo e quindi che il suo corpo può tollerare livelli estremi di stress impensabili per la maggiorparte delle persone e che in molte sue imprese gli hanno permesso di sopravvivere in condizioni che vanno oltre i limiti umani. Non è nuovo ad imprese simili. Tra le sue esplorazioni spiccano i 120 km percorsi nel deserto in 24 ore nel luglio del 2013, con temperature della sabbia prossime ai 74°, in totale privazione di acqua e cibo; l’attraversamento nel 2007 del Tropico del Cancro in Oman, 437 chilometri in 90 ore e nel maggio 2009 la tratta Ramallah-Monte Sinai, correndo la Run for Love partendo da Ramallah. Quattro anni fa ha attraversato un altro deserto di 365 chilometri in 128 ore negli Emirati Arabi. Ma il Quarto Vuoto va oltre il limite e forse l’immaginazione. Il deserto del Rub Al Khalil è uno degli ultimi angoli della Terra rimasto inesplorato. Calderan ne è venuto a capo marcando oltre 100 punti d’interesse lungo il percorso che è profondamente diverso da quello segnalato sulle mappe satellitari. Dune instabili, alte fino a 300 metri e accecanti tempeste di sabbia rendono la navigazione quasi impossibile. Non solo. Serpenti velenosi, ragni, scorpioni, caldo torrido e la scarsità di pioggia lo caratterizzano come il clima più proibitivo della Terra. Persino gli uccelli migratori volano con centinaia di miglia di distanza dal deserto per evitarlo. La traversata lascerà un segno perchè il percorso diventerà da subito la “Calderan Line” in onore di questa sua incredibile impresa e sarà inserita nelle cartine geografiche dell’Arabia Saudita. “In queste ore sto tornando a Dubai e ancora non posso credere a quello che abbiamo fatto- spiega- i grattacieli della città mi sembrano finti. Da oggi nulla sarà come prima per me. La prima cosa che farò in albergo sarà una doccia, momento che ho desiderato a lungo ma che al tempo stesso mi rende triste perché sarà come scrollarsi di dosso quest’avventura che con grande sacrificio mi sono vestito addosso”. L’impresa diventerà anche un documentario: “Nel deserto perduto” girato da una troupe dell’Empty Quarter Studios, che ha l’esploratore veneto nel suo viaggio. “Alla maggior parte del pubblico Il Quarto Vuoto sembrerà un pianeta come un altro incredibilmente secco, caldo e privo di vegetazione- racconta- Ma entro trent’anni, se non si farà nulla per ridurre il cambiamento climatico, molti di questi spettatori troveranno paesaggi simili sempre più vicino a loro…”