Uomini soli (al comando)
C’era una volta Fausto Coppi, uomo solo al comando come lo ricordano tutti. Ma c’era una volta anche Colin Smith, un ragazzo rinchiuso in riformatorio a cui viene data la possibilità di guadagnarsi una borsa di studio e la libertà vincendo una maratona. A un passo dal traguardo, quando è solo al comando, però si ferma e lascia via libera ai suoi inseguitori rinunciando al mondo agiato dei college per continuare a vivere sulla “cattiva strada” con i suoi compagni d’avventura. “La solitudine del maratoneta” scritto mezzo secolo fa da Allan Sillitoe racconta la sua corsa ma è solo un pretesto per raccontare una storia di vita dove il giovane Colin, ad un certo punto della sua gara, decide di perdere. Sceglie di non rischiare un’esistenza che non fa per lui, senza riflettori ma nella direzione che preferisce. E la solitudine non è solo prerogativa dei maratoneti. C’è la solitudine di chi si arrampica, di chi va per mare, di chi nuota e di chi pedala. Già i ciclisti. Facile viaggiare in gruppo. Il vento non ti sbatte addosso e se appena appena hai un po’ di dimestichezza e di coraggio il gruppo ti porta a spasso senza una goccia di sudore. Ma non sempre c’è il gruppo. E allora la consapevolezza di ciò che ti sta capitando diventa più reale. Perchè metro dopo metro l’aria che ti arriva in faccia si fa più forte e anche se cerchi di scivolar via, di darti la forma più aerodinamica che si può non c’è nulla da fare. S’infila, ti frena e ti rallenta in una sfida che non puoi vincere perchè quando sei solo in sella al vento non si sfugge. Ti complica la vita, ti abbatte l’umore e ti fa sentire più solo di quello che sei. Dallo sport al lavoro è pieno di persone che scelgono di non stare in gruppo, di non sfruttare la scia, di far da sè. C’è un senso in tutto ciò: è un altro modo di stare al comando.