Con la bici nel fango si torna bambini
Dopo le grandi piogge a volte c’è l’arcobaleno. Ma è un’eccezione. Per chi pedala in campagna, sugli sterrati, lungo gli argini dei fiumi la regola è il fango. Pioggia e fango per chi ama le ruote grosse della mountainbike sono il paese dei balocchi. Sono il tempo che torna indietro alla velocità della luce e un po’ ti fa tornar bambino. Sono la differenza del pedalare un po’ fighetto che spesso è l’andare in strada. Pioggia e fango nel ciclismo e nello sport sono la storia stampata sulla faccia piena di gioia di Franco Ballerini che alza le braccia sul traguardo del Velodrome di Roubaix. E’ la maglia sporca di Vincenzo Nibali che pedala sul pavè verso Arenberg nella giornata in cui fa capire a tutti che vincerà il Tour de France. E’ il pugno alzato di Alessandro Troncon sotto una pigna si azzurri e gallesi che nel 2007, in uno stadio Flaminio esaurito, firma la meta che dà all’Italia la seconda vittoria nel miglior Sei nazioni di sempre. Il fango è l’inchiostro con cui si scrivono pagine indimenticabili. E’ la polvere magica che ci fa tornare indietro nel tempo quando non si vedeva l’ora che piovesse per andare a giocare al campo. Il fango è la Cinque Mulini, è l’essenza del cross, di un’atletica forse meno aristocratica però più epica dove per vincere bisogna sporcarsi le mani e non solo quelle. Dove forse bisogna essere un po’ più eroi. E’ il fango che esalta i gesti e il racconto. Che sfigura le facce, che cancella gli sponsor delle maglie, che rende tutto e tutti uguali. La differenza la fanno i sorrisi. La differenza la fa la gioia che si legge al traguardo sulle facce di tutti quelli che sono arrivati alla fine. Stanchi, sporchi, irriconoscibili. Ma tanto poi c’è la doccia…
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