La retorica del gregario
Fedeltà e sacrificio. Così si raccontano i gregari. A piene mani nella retorica del ciclismo che da sempre accompagna questi onesti pedalatori senza volto e senza ambizioni. Non è così ma c’è tutta una letteratura che racconta una schiera di eroi mai celebrati che si dannano anima e corpo in un lavoro invisibile e oscuro al servizio di squadra e capitano. Non gioiscono, non esultano, non vincono. Non vincono quasi mai, sono “straordinari perdenti” che considerano vittorie e successo dettagli trascurabili, vanagloria da lasciare agli altri. C’è chi diventa gregario ma in genere gregari si nasce. Ed è un limbo, l’ orlo estremo della voragine infernale che ospita le anime dei pagani virtuosi che non peccarono ma sono esclusi dalla salvezza, che non vengono puniti, che vivono sospesi nell’inappagabile desiderio di veder Dio e aspettano che Cristo risorto li vada a prendere per portarli in Paradiso. Non un bel vivere. Ma la retorica lo addolcisce, lo annacqua, fa credere che si possa accettare. Che possa piacere. Finchè un giorno un gregario arriva primo al traguardo. Uno dei tanti che per una volta diventa eroe, dopo anni a pedalare in gruppo solo a far fatica, mai alzato le braccia, mai staccate dal manubrio, mai un brindisi, un podio, mai un bacio dalle miss, mai una polemica, una ribellione, mai un’alzata di capo. Il gregario perfetto. Perfetto per la retorica che lo vuole proprio così, eroe per un giorno e per un giorno solo. Eroe modesto ed eroe per caso. E lui sta al gioco perchè non è mai stato un corridore particolarmente talentuoso, non un vincente. Ma una volta, ed una volta sola, al traguardo riesce a fare esattamente ciò che ha in mente, un sogno. Capita che vinca un gregario. Non capita spesso però capita e allora gli occhi brillano. Si vede che dentro ha il terremoto. Si vede che è il suo giorno, che finalmente ha rotto le catene e ha fatto ciò che ha sempre sognato. E allora sarebbe bello raccontarli senza retorica i gregari. Sarebbe fantastico celebrarli spavaldi, sicuri, capaci di rompere le righe e chissenefrega di capitani, ordini dell’ammiraglia, squadra e tattiche. Sarebbe bello vedere che si incazzano quando perdono, che rifiutano un cambio o di andare là davanti a prender vento perchè pensano allo sprint, che le borracce non le portano più perchè ognuno si va a prendere le sue e che ognuno ha la sua bici e guai a chi la tocca altro che cederla al capitano che cade o buca. Un’altra vita, sicuramente un altro ciclismo