Qual che tempo fa sulla pista ciclabile che passa da Trezzano, un paesino sul Naviglio alle porte della città, accanto alla casetta dell’acqua è stata installata una bike station. Fantastica, utile a tutti soprattutto a chi in bici si ritrova in difficoltà e deve riparare. Una pompa integrata, un pinza, cacciaviti, brugole, un kit di salvezza previdentemente legato con fili d’acciaio per scongiurare furti e vandalismi. Ovviamente non è servito. Da qualche giorno la pompa è fuoriuso e gli attrezzi non ci sono più. «Dura minga…» dicono a Milano: non dura. E infatti è sopravvissuta poco o nulla. Al di là del fatto che siamo un Paese con un tasso di inciviltà che cresce in misura indirettamente proporzionale al nostro Pil, verrebbe da dire che non ci meritiamo nulla. Non siamo capaci di apprezzare nulla ma soprattutto di rispettare nulla. La stessa cosa (anche se forse in quel caso più che di vandali si è trattato di disattenzione perchè un camion che ovviamente di lì non doveva passare l’avrebbe danneggiata) è successa alla pista di atletica «Campo sette» nata poche settimane fa nell’area dell’Ex Trotto, una zona dismessa da circa 10 anni, che la società Hines sta ristrutturando. Era stata donata alla città per offrire sport gratuito ai ragazzi, l’aveva inaugurata Filippo Tortu ed ora è già da rimettere a posto. Fuori uso anche quella. Ma tornando alla stazione delle biciclette vandalizzata a Trezzano, il discorso è anche un altro. Gli «idioti» che l’hanno distrutta e che si sono portati via brugole, pinze e chiavi per farne poi chissà cosa, lo hanno fatto perchè sono sicuri di farla franca. Sanno perfettamente che non corrono rischi nè mai verranno sanzionati. Vale per un paio di «stupide» brugole ma vale per molto altro perchè la stessa logica muove la mano di vandalizza le bici del Bike-mi smontandole o gettandole nel Naviglio, i monopattini dello sharing, per chi butta spazzatura dal finestrino della sua auto, per chi imbratta con la vernice la facciata di uno stabile o per chi si diverte, dopo aver bevuto, a ridurre in cocci le bottiglie di birra lanciandole contro i portoni della case. E si potrebbe continuare. Quindi? Quindi torna alla mente la stranota teoria delle «finestre rotte» elaborata negli Anni ’60 dallo psicologo Philip Zimbardo. Fece un esperimento: posteggiò un’automobile senza targa nel Bronx e una simile a Palo Alto, in California, le abbandonò con il cofano aperto e annotò che mentre la prima in pochi giorni venne vandalizzata, la seconda restò intatta. Ma la deriva criminale non è sempre da attribuire alla povertà o al disagio. E infatti quando il ricercatore decise di rompere un vetro della vettura parcheggiata a Palo Alto in breve tempo assistette alla stessa dinamica di vandalismo registrata a New York e in pochi giorni l’auto venne cannibalizzata. Secondo Zimbardo, il finestrino rotto costituisce un indizio di abbandono dell’area, il quale a sua volta è in grado di svegliare in noi peggiori istinti, forti del fatto che difficilmente verremmo giudicati o puniti. Vale a New York (ne fece la sua battaglia politica l’allora sindaco Rudolph Giuliani), ma vale ovunque. Il degrado e il disordine urbano chiamano altro degrado e altro disordine. Se un luogo è pulito, ben tenuto, controllato generalmente si fa un po’ più di fatica a devastarlo. Non è una certezza, forse più una probabilità. Poi restano gli imbecilli: ma contro di loro siamo disarmati…