Campo Imperatore per chi va in bici, e non solo per chi va in bici, lascia senza fiato. Un posto magico, potente,  dove la natura rimette le cose a posto, le rimette nell’ordine che meritano. Domina su tutto, sugli uomini, sulle loro piccole vanità, sulla presunzione che si  possa sempre avere il controllo di ciò che ci sta intorno. Ma oggi al Giro, al di là dell’impresa di Davide Bais che, insieme con Karel Vacek e Simone Petilli, ha portato alla fine una fuga di 215 chilometri,  più che senza fiato ha lasciato senza parole. Poco da dire. Tutti i big sono rimasti a guardare, si sono quasi arresi e, pedalando di conserva, sono saliti in gruppo, come in gita,  forse un po’ intimoriti da Remco Evenepoel, al punto da non attaccarlo forse per paura di una sua reazione, e forse un po’ infreddoliti dalla pioggia del mattino e dalla neve che hanno trovato strada salendo.  Ma poco cambia.  Al cospetto del Grande Sasso d’Abruzzo non ci sono protagonisti. Passano tutti in secondo piano ai piedi di una delle più belle salite che si possano pedalare. Più sali e più ti senti piccolo. E il lieve senso di ansia che ti coglie spiega, meglio di ogni cosa, chi comanda, chi detta le regole e quale sia l’origine. Ti senti quasi indifeso di fronte a tanta potenza perchè la magia della bici è anche questa, non sei in una scatola al riparo, al coperto se le cose si mettono male, non puoi mettere la freccia a destra e aspettare che passi la buriana. Se il cielo si imbroglia e si incupisce c’è solo una mantellina a cui ti puoi affidare. Pochissimo, quasi nulla intorno. Pochissimo quando ti stai arrampicando verso Campo imperatore, quando sei sotto  la cima più elevata degli Appennini, con i 2912 metri del suo Corno Grande. Più sali e più ti senti indifeso quasi a sparire tra gli spazi infiniti di questo altopiano che ti porta in mezzo alle nuvole, con il vento che ti spazza di lato con le raffiche fredde che ti fanno dimenticare il caldo e il sole delle spiagge del litorale. Per arrivare a Campo Imperatore si sale. Si continua a salire, si sale sempre per una trentina chilometri in cui si ha tutto il tempo per godersi strada, tornanti, dritti infiniti che sembrano portare verso una vetta che non arriva mai. Oggi qui passava il Giro arrivando da Capua, transitando dal Molise, scalando la Sferracavalli, dopo Castel di Sangro, Roccaraso e poi Rocca Calascio. Qui è spesso passato il Giro e qui in ordine sparso sono passati Armstrong, Formolo, Pantani nomi scritti con la vernice su un asfalto a grana grossa che sfida ghiaccio e neve. Fatta eccezione per qualche pastore che vende forme di pecorino sotto una tenda al bivio che porta verso valle e una mandria di cavalli che sembrano senza padrone, non c’è nulla quassù. Se piove o nevica, ma anche quando il sole picchia forte, non c’è riparo.  Non c’è una fontana, non un rifugio per un caffè, nulla di nulla. Ed è la meraviglia della montagna vera, quella a cui non importa di essere comoda e turistica, quella che è rimasta ( forse proprio per questo) intatta e che chiede sempre un giusto prezzo di fatica. E la bici è lo strumento perfetto per mettere insieme tutte queste cose.  Davide Bais, per vincere la sua prima tappa da professionista, ha scelto uno dei posti più belli al mondo…