La sicurezza innanzitutto, anche prima dello spettacolo  perchè se ci sono rischi, se ci sono pericoli, se si deve rischiare la salute o l’osso del collo è giusto fermarsi, deviare, prendere un’altra strada.  Troppi “se” però. E allora viene da dire che non ci sono più i ciclisti di una volta. Non ci sono più gli eroi, i gregari ubbidienti, gli sceriffi che decidono per tutti.  L’epica è un’altra, scandita dai tweet sui social più che dalle edizioni speciali dei giornali del pomeriggio.  Il ciclismo ha una storia e sicuramente non merita di essere trattato così ma il ciclismo ha anche un presente che, piaccia o non piaccia, è quello che viviamo oggi. Uno sport che ha poca nostalgia del suo passato, che se nevica si ferma, che non viaggia più su strade bianche e auto decappottate ma su motorhome  da mille e una notte, con medici, strateghi, nutrizionisti, direttori tecnici, manager, responsabili della comunicazioni esterne e tutto ciò che serve a sostenere il peso di un movimento che è diventato un business . Non è peccato. Anzi. Se grazie a tutto ciò intorno al Tour, al Giro, alle classiche  si crea lavoro  e non solo per chi pedala ben venga. Ma allora il lavoro bisogna rispettarlo e difenderlo. Non facendo gli eroi, che non serve, ma facendo scelte responsabili e, se proprio non ci si riesce, almeno di buonsenso. Il lavoro è lavoro. Non ci si alza la mattina e se il tempo è brutto, se ci si sente un po’ stanchi, se si ha paura di mettersi su una statale in scooter per andare in ufficio si chiama la segreteria del personale per dire che anzichè otto di ore se ne faranno quattro. Non lo fa nessuno. Non si capisce perchè  ogni tanto venga in mente di farlo a chi il ciclismo lo fa per professione su suggerimento di chi pensa di difenderli ma così forse li danneggia solamente. Oggi la tappa numero tredici, da Borgofranco d’Ivrea a Crans Montana in Svizzera, da 199 chilometri è stata accorciata 75 chilometri per effetto dell’applicazione dell’Extreme Weather Protocol che, tradotto, significa che il meteo dava brutto e quindi, temendo soprattutto per il freddo sui passi e il ghiaccio in discesa, è scattato il piano B. In realtà a pendere come una spada di Damocle sul Giro c’era un minaccia di sciopero, esattamente come era successo tre anni fa per la tappa che partiva da Morbegno sotto la pioggia battente e poi in realtà cominciò da Abbiategrasso. E quindi addio montagne. Un peccato perchè poi in realtà freddo non faceva, non ha neppure piovuto e tutti si sono resi conto che forse stravolgere il “tappone” è stata  una grossa topica.  “Oggi il problema erano soprattutto le discese- spiega il direttore della Corsa Rosa Mauro Vegni– Le bici sono diventate molto più performanti e la percezione della frenata è molto diversa se hai le mani rattrappite e ora si frena molto a ridosso delle curve: il ciclismo è cambiato…” . Ma forse sono solo cambiati i ciclisti…