Hindley in giallo: c’è un po’ d’Abruzzo al Tour
I proverbi lasciano il tempo che trovano ma hanno sempre un fondo di verità. L’anno scorso Jay Hindley era venuto da noi a correre il Giro e, a chi gli chiedeva che intenzioni avesse, aveva risposto come si usa dire dalle sue parti a Perth e , con altre parole, anche da noi perchè alla fine tutto il mondo è Paese: «Be’, non sono venuto qui a mettere i calzini ai millepiedi…». E infatti il Giro l’ha vinto, primo australiano a farlo tra la sorpresa dei suoi connazionali che a mala pena sapevano chi fosse perchè, a quelle latitudini, l’eroe del ciclismo resta ancora il solo Cadel Evans che ha vinto un Tour. Va così ma potrebbe cambiare presto perchè, sempre ricordando un proverbio, non è detto che quest’anno al Tour tra i “due litiganti il terzo goda”. Hindley, per la prima volta alla Grande Boucle così come l’anno scorso al Giro, sui Pirenei oggi ha staccato tutti e si è messo addosso la maglia gialla. Tappa e maglia si dice in questi casi, anche questo un modo di dire, che però riassume bene un concetto semplice: l’australiano non è uno che va piano… Sarebbe dovuta essere la giornata della grande sfida tra Jonas Vingegaard e Tadej Pogacar (e molto lo è stata perchè il danese ha rifilato un minuto allo sloveno) ma l’australiano ha fatto saltare il banco partendo a circa 20 chilometri dall’arrivo e dopo 163 chilometri è arrivato solo soletto sul traguardo di Laruns: ” Non avevamo studiato questo alla vigilia, non era programmato- ha spiegato alle tv- ma poi è andata così ed è andata bene. Sono felice, oggi in bici mi sono davvero divertito ma ora devo capire come affrontare le prossime salite…”. Che per chi lo rincorre potrebbe essere una speranza oppure una minaccia detto da uno che ha già vinto sulla Marmolada e sul Blockhaus, in Abruzzo la sua terra d’adozione. Già l’Abruzzo, che un po’ domina questo inizio di Tour anche con Giulio Ciccone che si piazza secondo fermato forse solo dalla sua ammiraglia e che ora è terzo in generale. Hindley dalle parti della Maiella è di casa. Lo chiamano “l’australiano d’Abruzzo” perchè ciclisticamente è cresciuto a Montesilvano, agli ordini di Umberto Di Giuseppe che nove anni fa se lo è andato a prendere tra i canguri su consiglio di un amico australiano e lo ha fatto correre le Cucine Aran. Lo ha sgrezzato, ha provato senza successo ad insegnarli l’italiano salvo qualche parola in dialetto e gli ha fatto capire quanto buoni siano gli spaghetti alla chitarra che fanno nel Teramano, un amore a prima vista che gli ha spento per sua fortuna la passione per le verdure al curry. Tempo sei mesi e “il canguro” ha preso il volo . Classe 1996 non è un fenomeno precoce come Remco o Tadej però lavora con “soda umiltà” racconta chi l’ha allenato. Una storia australiana-abruzzese la sua che parte da lontano, da quando nel 1989 suo papà Gordon si è trasferisce in Australia da Manchester. E’ lui, grandissimo appassionato di ciclismo, che lo mette in bici sul velodromo di Midland. Ma il fanciullo vuol giocare a rugby e dopo qualche anno molla il colpo, così tocca a sua mamma Robyn rimetterlo in sella. Non scende più. Passa al professionismo nel 2018 e dopo le vittorie al Gran Premio Capodarco (2016) e al Giro d’Italia Under 23 (2017), nel 2020 vive la stagione migliore della carriera con due affermazioni all’Herald Sun Tour. Fino al 2020 corre per la Sunweb, l’anno dopo per il Team Dsm e dall’anno scorso per la Bora. Pedala così veloce che arriva secondo nel Giro 2021 un anno dopo lo vince. Però pedala un po’ a modo suo perchè non ama troppo la tecnologia, i diagrammi e non si fa dettare la gara dai numeri. Se sta bene prende e parte, un po’ come ha fatto oggi scaravoltando in aria le certezze di squadroni e favoriti. Domani si sale ancora. Domani altra tappa di montagna, la Tarbes-Cauterets Cambasque di 144,9 chilometri con il Col del Tourmalet. “Domani è un altro giorno…” come diceva Rossella O’Hara in “Via col Vento”. Che non è un proverbio ma un film che ha fatto la storia e che sembra un profezia…