Vince il canadese Michael Woods ma sulle rampe assurde del Puy d Dome Tadej Pogacar prende otto secondi a Jonas Vingegaard nel silenzio assoluto di una montagna che fa quasi paura.  Silenzio. Niente folla, niente ammiraglie, niente di niente per salire su una via stretta dove  di solito si va solo con un treno a cremagliera. Otto secondi sono nulla, a occhio una decina di metri che negli ultimi due chilometri si sono accorciati e allungati facendo sembrare a volte più vicino lo sloveno, altre il danese. Erano 35 anni che il Tour non si azzardava ad andare lassù. Lassù  sul vulcano spento che il ciclismo riaccende, ai quasi 1500 metri di altitudine da digerire in pochi chilometri con rampe fino al 15 per cento, lassù dove la Grande Boucle ha incorniciato più volte la sua storia con Fausto Coppi nel 1952, con il leggendario duello tra Raymond Poulidor e Jacques Anquetil nel 1964, con Felice Gimondi tre anni dopo. Oggi toccava a Pogacar e Vingegaard scrivere qualcosa di importante e non si sono fatti pregare. Non si fanno mai pregare questi due ragazzi che però sono talmente forti, talmente coraggiosi, talmente amici e talmente leali che non si sa per chi fare il tifo, Non si sa chi scegliere. E allora uno si esalta quando scatta Tadej, resta affascinato dalle sue progressioni ma allo stesso tempo dà un occhio a Jonas perchè non vorrebbe che si staccasse, non lo vorrebbe sconfitto, non lo vorrebbe vedere naufragare. E ovviamente viceversa.  Che poi i due sono sono avversari ma tutto fanno per non sembrarlo. Si abbracciano al traguardo, si salutano dandosi il pugno ( il “first bump” dicono quelli  che sanno le lingue) e l’anno scorso mentre erano in fuga si sono addirittura aspettati quando uno è caduto. Peggio di così… Sarebbe meglio si “odiassero”, sarebbe meglio si facessero qualche sgarro in corsa, che litigassero nelle conferenza stampa del dopo gara, che si incrociassero guardandosi torvi senza neppure salutarsi. Invece nulla, nessun aiuto che possa indirizzare la passione. E così tocca fare il tifo per tutti e due, tocca gioire per chi vince ma un po’ dispiacersi per chi perde, tocca sperare che uno vinca ma che l’latro non perda troppo.  Che poi è la meraviglia che rende magico il ciclismo sport crudele dove non c’è pareggio.   Altrochè regole, regoline, gironi, gironcini, fuorigioco, superleghe e chissà cos’altro.  Nel ciclismo bisogna solo pedalare forte e  arrivare davanti, senza trucco e senza inganno, in una legge antica che santifica uno sport dove tutti faticano allo stesso identico modo, dove tutti lottano con il vento e con la pioggia, dove tutti sognano ma poi alla fine uno solo vince anche se , per una strana legge del contrappasso, la voglia ti porta spesso a celebrare chi arriva dietro. Salvo rivoluzioni improbabili a Parigi in giallo arriverà uno tra Tadej e Jonas ma sarebbe fantastico  farli vincere tutti e due,  come nel pugilato quando sul ring dove spesso capita che l’arbitro alzi le mani di chi se l’è date e le ha prese senza far torto a nessuno. Ex aequo si dice in latino, anche se purtroppo il ciclismo non traduce.  E allora ci si deve preparare a rendere omaggio e a raccontare le gesta di Tadej o quelle di Jonas quando succederà. Ci si deve preparare a gioire e tanto. Ma ovviamente  non troppo..