Mads Pedersen vince in volata l’ottava tappa del Tour de France, la Libourne-Limoges di 201 chilometri davanti a Jasper Philipsen e a Wout Wan Aert e rende omaggio a Mark Cavendish: “E’ stato un onore correre con lui…”. Il danese Parla al passato perchè per il campione dell’isola di Man il Tour finisce qui dopo la caduta a poco più di 60 km dal traguardo in cui si è probabilmente fratturato una clavicola. Non è un arrivederci ma un addio perchè questo era il suo ultimo Tour de France come già aveva annunciato al Giro. Cavendish scende dalla bici e scorrono i titoli di coda sulla carriera incredibile di uno dei più forti velocisti degli ultimi anni,  con oltre 160 vittorie, con un mondiale nel 2011,  con tre ori iridati in pista nell’americana, con un argento olimpico nell’omnium a Rio 2016, con un Milano-Sanremo. “A 38 anni il ciclismo è stato la mia vita e, dopo aver vissuto un sogno assoluto, è arrivato il momento di fermarmi…” aveva annunciato qualche mese fa nel giorno di riposo del Giro d’Italia. Ma non oggi, non così, non al Tour dove era venuto con la voglia e la speranza di entrare nella leggenda, di vincere per la 35ma volta e di scavalcare nella classifica eterna il mito assoluto di Eddie Merckx.  C’è andato vicinissimo a Bordeaux, secondo dietro a Philipsen, ma non c’è riuscito e, anche se un po’ dispiace, forse è giusto così. “Cannonball” fa pari e patta con il “Cannibale” e piace pensare che a deciderlo non sia stato il caso o il destino ma quel Dio del ciclismo che tutto vede e tutto sa, che ha voluto conservare storia e gerarchie, che non ha permesso che due pianeti di luce e dimensioni differenti si allineassero.  Ma Cavendish resta Cavendish e trova il posto che merita nella galassia di un ciclismo combattete e vincente che lui, come pochi, ha interpretato a gomiti larghi.  E’la storia di “The Manx Missile”, che prima di pedalare prova a cimentarsi con la danza e poi come terzino nelle giovanili del Leeds,  e che sale in bici a dodici anni, competitivo da subito, “scorbutico” da subito, veloce da subito. Che poi certe caratteristiche uno forse neanche ha bisogno di allenarle perchè se le ritrova nel dna e non solo quando va in bici o sprinta visto che, già da ragazzo, quando per un periodo della sua vita lavora in banca si mette in testa battere il record di transazioni da fare in una singola giornata. Ruota a ruota anche dietro uno sportello che non cambia di un nulla lo stile di vita di uno abituato a fare a “sportellate”. Sposato, quattro figli, ha tenuto per 25 anni la bici al centro della sua vita: passione, lavoro, gloria e vittorie. Una vita nella pancia del gruppo, nellla “bolla”, come ha raccontato spesso nelle sue interviste, dove si sta bene , dove per molte cose c’è chi pensa per te, dove devi solo pensare a pedalare e, nel suo caso a vincere, Ma non si vive di sola gloria e le ruote non girano sempre come dovrebbero così “Cannonball”, per una strana alchimia che a volte rende lo sport crudele, cinque anni fa sembra arrivato al capolinea. A minare i suoi muscoli e la sua testa è il virus di Epstein-Barr ma soprattutto la depressione.  L’ultima vittoria è dell’8 febbraio del 2018 in una tappa del Dubai Tour. Una volata delle sue, spigolosa e vincente. Poi più nulla. Poi si spegne la luce e il ciclismo passa in secondo piano. Due anni al buio senza stimoli, senza voglia ma soprattutto senza più squadra. Che non è l’ultimo dei dettagli quando il ciclismo è  il tuo mestiere. Mille e duecento giorni senza alzare le braccia al cielo per uno sprinter di razza sono un’eternità e una sentenza. Sono un tunnel dal quale non sempre si riesce a venir fuori. Pensi a un sacco di cose ma soprattutto pensi al ritiro. Ma nulla è scritto e molto si può fortunatamente riscrivere,  così quando tutto sembrava nero un lampo di luce arriva proprio dal passato , da Patrick Lefevere team manager della Deuceuninck- Quisckstep, lo squadrone belga in cui Cavendish aveva corso e vinto che gli dà una nuova chanche. L’ultima. A patto che sia lui stesso a trovarsi uno sponsor che gli paghi lo stipendio. Una scommessa per tutti, ma per uno nato nell’Isola di Man, abituato a sgomitare negli sprint, a scartare a 80 all’ora e a limare i millimetri dei tubolari non può essere un problema. E infatti riparte. Avanti piano all’inizio.  Gregario? Non proprio. Ci sono corridori che hanno la vittoria nel Dna e Cavendish deve solo fare uno sforzo di memoria che ritrova all’improvviso, quasi per magia, nell’ aprile di due anni fa nella seconda tappa del Giro di Turchia quando ritorna a mettere fila  Andrè Greipel e Jasper Philipsen, lo stesso che due giorni fa a Bordeux lo batte e lo  tiene a fianco di Eddie Merckx, lontano dal record che sognava. Strano il ciclismo, strana la vita. Il cerchio si chiude:  Cannonball saluta tutti e mette la sua bici in garage. E’ andato tutto come doveva andare…