Certo che è stata una follia, ma i  sogni sono sempre un po’ folli. Certo che non c’erano speranze, non c’era futuro, che il destino di quella fuga era segnato. Certo che Alberto Bettiol,  se il ciclismo fosse solo logica e buonsenso, avrebbe dovuto aspettare a scattare, provare a stare a ruota, a resistere, a non osare, a non regalarci trenta chilometri di emozione pura, a perdere comunque col rimpianto di non averci neppure provato  …E allora? Allora si celebra giustamente il podio regale del mondiale di ciclismo di Glasgow, con Mathieu Van Der Poel Re assoluto e straripante che mette dietro di sè altri due fenomeni indiscutibili come Wout van Aert e Tadej Pogacar che non sono riusciti ad arginarne l’esplosione di classse, potenza e tenacia. Onori a vincitori e vinti di uno dei mondiali più belli e appassionati di sempre. E Bettiol? E la sua fatica, la sua follia, la sua faccia sfinita e le sue gambe in croce? Sarà che c’è un ciclismo che perde che affascina spesso quanto, se non di più, del ciclismo che vince, ma il suo azzardo, come ha spiegato all’arrivo con quel poco fiato che gli restava, è stato davvero un piccolo grande sogno che il toscano si è voluto regalare e ha regalato a tutti gli appassionati di ciclismo che ieri avevano la maglia azzurra nel cuore: “Non volevo restare con quei quattro perchè non avrei avuto scampo e allora ho cercato di sorpenderli. E poi  io e i miei compagni avevamo un sogno, eravamo convinti di poter andare a vincere, non ci interessava il piazzamento. Ho sofferto come tutti ma mi sono dato una chance…». Un  piano forse folle ma forse l’unico capace di regalare il sogno di un mondiale.  Bettiol è un campione, paga il conto rispetto ai fenomeni di cui sopra, ma non è certo un carneade qualsiasi che va a caccia di qualche ripresa tv. D’altronde non si vince un Giro delle Fiandre per caso, non si vincono corse e tappe come le ha vinte lui qualche anno fa al Giro  a Canneto Pavese. Così a 50 chilometri dall’arrivo non ha pensato di essere a  Glasgow ma ad Oudenaarde,  ha immaginato che lo strappo di Montrose Street fosse l’Oude Kwaremont che lo incoronò tra i leoni “fiamminghi”, tra i re della corsa peggiore da correre ma migliore da vincere, tra le promesse consacrate a realtà. Strano sport il ciclismo dove si vince andando in fuga. Perchè nella vita normale andare in fuga, fuggire, è da  codardi.  Fugge chi non ha voglia di regolare i conti, chi svicola o scende a patti con le sue paure. Nel ciclismo no. Andare in fuga è un atto di coraggio. Va in fuga chi non ha paura di perdere, chi non vuole avere rimpianti, chi si ribella al conformismo del gruppo e chi non ha paura della solitudine. Sembra un mondo alla rovescia. Pieno di contraddizioni ma capace di magie. Così , senza pensarci troppo  ci si alza sui pedali e si scatta, cercando uno spiraglio di sole e di azzurroin una fredda e piovosa giornata scozzese.  Senza far calcoli e seguendo il cuore, seguendo l’istinto, seguendo un sogno che per un po’ è rimasto lì a galleggiare in una manciata di secondi. “E’ stato meglio lasciarci che non essersi mai incontrati…”, diceva un poeta che i suoi capolavori li metteva in musica. E allora è stato meglio provarci che non vivere di rimpianti…